Mancini si racconta: “La Nazionale? Mi piacerebbe …”
Intervistato dai microfoni di Sky Sport, alla trasmissione “Mister Condò”, Roberto Mancini si è espresso così sulla sua carriera, l’Inter, la Nazionale e non soltanto. Ecco alcune risposte del tecnico nerazzurro:
Da Jesi a Bologna a 13 anni.
“Il ricordo è ancora abbastanza limpido. La voglia di alzare il braccio, la voglia di prendere i gettoni tutte le sere per chiamare a casa, perché non bastava un gettone, ne servivano sette o otto.
Di giorno era bello perché c’era il campo, c’erano i compagni, giocare nelle giovanili di una squadra professionistica era il sogno di tutti i ragazzi. Io avevo avuto quella fortuna, quindi il giorno passava bene, la sera un po’ meno perché eravamo in un convitto a Casteldebole, dove spesso c’era la nebbia e abitavamo con altri ragazzi più grandi di noi”
Saresti rimasto volentieri al Bologna dopo la prima stagione e la retrocessione?
Volevo rimanere a Bologna, sarei voluto rimanere a Bologna, perché mi trovavo bene con le persone, con i bolognesi, stavo benissimo. Non avrei mai pensato di lasciare, però, retrocedemmo in B quell’anno lì e il Bologna aveva bisogno di fare cassa e c’erano diverse offerte.
Gli anni di Genova, alla Sampdoria, sono stati i più belli della tua vita?
Eh, si! Nella sfortuna di lasciare Bologna, dov’ero cresciuto calcisticamente, sono andato a Genova e ho trovato un’altra famiglia, praticamente, tutti ragazzi giovani, un grande presidente come Mantovani, un grande direttore sportivo come Paolo Borea, una famiglia vera. Sicuramente, sono stati gli anni più belli di gioventù. Noi vivevamo in simbiosi praticamente 24 ore al giorno.
Sulla Coppa Campioni persa nel 1992 in finale contro il Barcellona
Quell’anno eravamo molto concentrati sulla Coppa dei Campioni, qualcosa di anche troppo grande, forse. Però, volevamo provare ad arrivare fino in fondo e arrivammo alla finale. Sapevamo che era l’unica chance che avremmo avuto, sapevamo che, probabilmente, dopo quella partita sarebbero cambiate tante cose.
Che tipo di esperienza è stata la Lazio?
Furono tre anni bellissimi, perché cambiai città dopo 15 anni e andai in una città totalmente diversa da Genova dove, all’inizio, era impossibile viverci per uno che arriva da Nervi, era un caos totale. Pero, dopo uno si abitua e ci vive bene. Poi, perché la Lazio stava costruendo una squadra molto forte, che voleva vincere, il presidente Cragnotti fece degli investimenti enormi per quella squadra e alla fine furono tre anni importanti, pieni di vittorie e straordinari, forse i più belli della Lazio, insieme allo scudetto di Maestrelli. Forse ha vinto anche poco per la qualità dei giocatori che aveva.
Com’è stata la chiusura della tua carriera? Hai avuto anche un breve periodo in Inghilterra, al Leicester
Prima di iniziare a fare l’allenatore.
La sensazione era che tu non soffrivi questa fine di carriera, perché eri ansioso di cominciare una nuova carriera, quella di allenatore; è così?
Si, perché ero stanco, sinceramente. Dopo che vincemmo lo scudetto e la Coppa Italia, ero un po’ stanco Mi piaceva l’idea di iniziare presto a fare l’allenatore e mi dette la possibilità di iniziare con lui (Sven-Göran Eriksson, ndr) subito come secondo a fare esperienza. Quell’anno fu un anno un po’ particolare, perché Eriksson venne esonerato a gennaio, aveva già un accordo con l nazionale inglese per l’anno successivo e le cose non andavano benissimo, nonostante la squadra molto forte. Pensavo che Cragnotti mi potesse dare la squadra, forse un po’ esagerando, perché ero abbastanza giovane. Poi, però, venne Zoff e io andai via. Eriksson mi chiamò e mi disse che c’era il suo secondo, che allenava anche il Leicester, che gli chiese se mi avrebbe fatto piacere giocare un po’ con loro. Io non facevo niente e sono andato lì, un mese a Leicester. Fu un’esperienza abbastanza breve, perché, poi, arrivò la Fiorentina, Cecchi Gori.
E cominciò un’altra storia
Si, cominciò un’altra storia, purtroppo. Purtroppo si, perché fare il giocatore forse è meglio, è più divertente.
Hai dei rimpianti su Adriano?
Adriano fa parte di quella schiera di giocatori che potevano fare tantissimo, ma che alla fine hanno fatto poco, per colpa loro. È un peccato, perché è un bravo ragazzo e, otre ad essere un bravo ragazzo, aveva delle qualità fisiche, più che tecniche. Aveva bisogno di essere sempre in condizione, fare una vita d’atleta. Giocatori come lui hanno bisogno di essere professionisti al massimo. Purtroppo, su questo lui ha peccato un po’ ed è stato un grande dispiacere. Io, come tutto noi, facemmo a quel tempo qualsiasi cosa per dargli una mano.
Nel 2008 lo scudetto arriva a Parma, in un momento di fortissima difficoltà tua personale
Per tutta una serie di cose, dopo Liverpool e robe varie.
La società aveva già deciso di cambiare allenatore
Io non lo sapevo.
A Parma ci fu una tua gioia mentre segnava Ibrahimovic rivolta in maniera molto polemica verso la tribuna
No, no, era perché eravamo molto sotto pressione, noi eravamo molto avanti, la Roma aveva recuperato molti punti e noi era da settimane che giocavamo senza il nostro miglior giocatore che era Ibrahimovic e, quindi, eravamo un po’ sotto pressione e trovarsi all’ultima giornata a giocarsi una partita così importante contro il Parma che stava retrocedendo e con la Roma che aveva recuperato molto, fortunatamente decidemmo di portare Ibrahimovic in panchina e usarlo nell’ultima mezz’ora. Soprattutto per la tensione che si era creata nelle ultime settimane.
Sul successivo esonero
Dopo aver vinto lo scudetto, essere andato in finale di Coppa Italia, avevamo fatto un buon lavoro, però, le cose poi finiscono, le persone si possono dividere, ma la civiltà è importante.
Il ritorno in Italia dopo l’esperienza in Inghilterra con il Manchester City ed è subito litigio con gli arbitri
Torni in Italia per fare l’allenatore per un anno, rientri nel clima e o fai finta di niente, oppure… Però, l’Inghilterra sicuramente aiuta, perché in Inghilterra si vive la partita in un altro modo. Uno non sa mai chi è l’arbitro e non se ne preoccupa più di tanto, i giornali non scrivono sull’arbitro, le trasmissioni non parlano dell’arbitro e, quindi, nessun giocatore si preoccupa di questo. Questo sicuramente aiuta e credo che gli arbitri abbiamo un altro atteggiamento, che aiuta, perché non è vero che i giocatori in Inghilterra sono bravi e non dicono mai niente all’arbitro.
Hai la sensazione che il calcio moderno sia ben rappresentato da una figura come quella di Thohir?
Si. Io credo che se le squadre italiane avessero presidenti come Thohir, il calcio italiano potrebbe migliorare molto e tornare ai livelli di una volta. Oggi è difficile per un imprenditore italiano poter fare come ha fatto Moratti per anni, investire tanti soldi non è una cosa semplice. Per anni il campionato italiano è stato il più bello e deve tornare ad essere il più bello.
Sei tornato all’Inter anche perché un po’ di rugava che nell’immaginario degli interisti di questi anni fosse Mourinho il grande benefattore
Ha vinto la Coppa dei Campioni, quindi. Sicuramente, ha fatto meglio di me.
Però, tu sei quello che ha ricominciato a vincere per l’Inter
Poi, bisogna essere anche fortunati, beccare la squadra giusta al momento giusto.
Dybala è un tuo rimpianto? C’hai provato?
C’abbiamo provato, ci siamo stati dietro, però, dopo, si sa nelle trattative non è che uno riesce a prendere tutti. Però, Dybala diventerà un campione.
Kondogbia diventerà un campione?
Si, diventerà un grande.
Ti piacerebbe allenare la Nazionale come rivincita per quello che non hai avuto da giocatore in maglia azzurra? Sarebbe la rivincita perfetta
Si, si, per vincere qualcosa si. È chiaro che la Nazionale per un allenatore, dopo tanti club, può essere la cosa più bella. Poi, allenare la Nazionale Italiana credo sia bello per tutti, è un grande onore, può capitare, può non capitare, non lo so. Poi, nel calcio, magari sei libero in quel momento è capita, se no resta difficile. Vediamo quello che accadrà.
Sei così giovane
Siamo giovani, esatto.