Venerdi è uscito il graphic novel dedicato alla leggenda dell’Inter e del calcio italiano, Giacinto Facchetti, nella quale spicca l’intervista a Massimo Moratti, ex patron del club nerazzurro che ha trattato vari temi all’interno del libro:
Su Facchetti:
“Il primo ricordo che ho di Giacinto è di inizio anni Sessanta. Un bravissimo ragazzo. Educatissimo, posato, uno che colpiva per le incredibili doti atletiche. Caratteristiche superiori a quelle di altre giocatori, ma che venivano considerate più valide per altri sport, per esempio per l’atletica leggera. Ricordo che quando esordì, forse a Firenze, molti giornali parlarono del solito azzardo di Herrera. In campo soffrì tantissimo un’ala destra piccola e veloce. Giocò male e fioccarono le polemiche. In quel caso Herrera fu davvero bravissimo. Lo difese con tantissimo orgoglio, disse che sarebbe stato il calciatore con più presenze nella storia della Nazionale. I giornali non persero tempo a criticarlo nuovamente e invece ebbe ragione, si realizzò la sua profezia. Non c’era storia: quel ragazzo timido e posato era destinato a diventare un atleta fantastico. Spiegare a un ragazzo Giacinto? Difficile. Prenda Maicon, per conto mio un calciatore di livello assoluto che abbiamo avuto la fortuna di avere all’Inter. Maicon è una specie di proseguimento di quella idea geniale di Herrera, collegata a un giocatore che ha caratteristiche uniche. A un ragazzo direi di cercarsi i filmati di Facchetti su internet e di provare a studiarlo. Anche oggi, a ben vedere, non se ne trovano molti così forti in giro. Facchetti presidente? Ero arrabbiato, non mi ricordo nemmeno per quale episodio in particolare, ma era sempre la stessa storia, quella che aveva vissuto anche mio padre. Attorno a noi c’era una specie di muro. Un muro della federazione, un muro della stampa, qualcosa che avremmo capito più tardi e contro cui continuavamo a sbattere. Ho pensato che potesse essere lui a portarci fuori da quella situazione. Con la sua grande forza d’animo e il’ suo senso di responsabilità. Si aspettava gli chiedessi qualcos’altro e invece aveva l’aria stupita, davvero di uno che non ci avrebbe mai pensato. La sua grande forza era proprio la sua umiltà, il suo senso di responsabilità. Appena gli ho chiesto se mi dava una mano, non ha avuto più dubbi. Era davvero un favore a un amico. Diventare presidente dell’Inter era quasi secondario. Da quelli eccessivamente furbi Cipe era visto come uno fuori dal giro. Mi chiedevano sempre come potessi fidarmi di uno che si ostinavano a definire ingenuo. E lo facevano solo perché si comportava in maniera opposta a loro. Dicevano che non era nei meccanismi. Per fortuna. È stato chiaro dopo, quali fossero i meccanismi. Giacinto è sempre stato un uomo libero.
Malattia? L’ho visto soffrire moltissimo. Quei suoi silenzi sembravano arrivare da una dimensione diversa. Si è capito dopo quanto stesse male, quante paure ci avesse nascosto. Non volevamo crederci. Per noi era rimasto davvero l’atleta: una vita perfetta, corretta, attenta nel sonno e nell’alimentazione. Non si era mai lasciato andare. Aveva una riconoscenza pazzesca nei confronti del suo corpo, proprio perché gli aveva portato tanta fortuna. E poi sentiva l’esigenza di essere utile agli altri, voleva stare bene. Una mattina, era prestissimo, siamo andati assieme all’ospedale a vedere i risultati delle sue analisi. Erano senza speranza. Ricordo la sensazione di un forte schiaffo. A lui, alla vita. Nessuno merita un destino del genere, ma Giacinto era davvero l’ultimo cui ci saremmo immaginati toccasse. L’ultimo periodo l’ha vissuto con qualche rimbalzo positivo. Le nostre prime vittorie e la soddisfazione di vedere scoperte le porcherie che avevamo intorno da anni, erano state una specie di sollievo: la conferma che avevamo ragione. Che c’era un motivo per cui non eravamo riusciti a sfondare. Era davvero solo un piccolo sostegno. Ma è stato bello che ci sia stato.
Calciopoli? Chi fa facili paragoni con i protagonisti di quella stagione, in cuor suo, deve sentirsi un po’ in colpa. Parla liberamente perché Cipe non può più difendersi. E spesso, chi lo tira in mezzo, è davvero il colpevole.
Lettera? La scrissi di getto, in questa stanza, proprio come se me la stesse dettando lui, con la sua grande educazione. Quel modo di fare esemplare era già una gran cosa: tra le tante doti di un uomo, l’educazione viene sottovalutata. Invece è la cosa che facilita il rapporto tra le persone, e lo nobilita. Nel calcio è merce rara. Molti pensano che in campo si possa dire e fare di tutto, perché la partita è una specie di porto franco. Non è vero. Giacinto ce lo ha insegnato. Era una mosca bianca: sua grande fortuna e grande merito, proprio perché quella volgarità non gli è mai appartenuta”.
Mourinho ed Herrera:
“Ci sono molte analogie tra l’Inter di Herrera e quella di Mourinho. Nei calciatori di talento, nei caratteri degli allenatori, ma soprattutto nella chimica. Come era stata una magia che quattro ragazzi a Liverpool si trovassero a suonare insieme e venisse fuori una cosa da fenomeni, uguale è il calcio: ci sono momenti in cui la mescolanza, la sinergia tra grandi giocatori porta arisultati formidabili. Nel 2010 eravamo già un gruppo solido, abituato a vincere con Mancini prima e Mourinho poi. Quando sono arrivati Diego Milito, Thiago Motta, Lucio, Samuel Eto’o, Wesley Sneijder, tutta gente nuova, è scoccata la scintilla. Come per i Beatles. Ciascuno preso singolarmente era già un campione, ma insieme sono riusciti a dare ancora di più. Mourinho e Herrera per molti versi sono simili. L’unico rammarico di quella stagione memorabile èehe Facchetti non era più con noi: meritava quelle soddisfazioni. E sarebbe stato utilissimo anche dopo. Nella ricostruzione. Avendo vinto tutto con Herrera, ci avrebbe dato una grande mano. Quando hai vicino qualcuno di una certa qualità, non te ne rendi quasi conto. Quando manca, invece, l’assenza può essere micidiale”.