Di Biagio torna a parlare del 5 maggio
Il 5 maggio 2002 è una data che resterà impressa nella mente di tutti i tifosi dell’ Inter per quella sconfitta contro la Lazio che causò la perdita dello scudetto all’ ultima giornata di campionato ai danni della Juventus. Un campionato che fu segnato da alcuni errori arbitrali sospetti e anche i giocatori di allora, come Gigi Di Biagio, non nascondono tutta la loro amarezza. Il ct dell’ Under 21, in una lunga intervista a Il Corriere dello Sport ha parlato di varie cose, tra cui la cocente delusione con la maglia dell’ Inter:
L’ inizio alla Lazio e gli esempi da seguire:
“A dieci anni ho iniziato con la scuola calcio della Lazio, la squadra per cui tifavo. Mi piaceva Lothar Matthäus e ancheRuben Sosa, al quale cercavo di assomigliare. Poi ho avuto la fortuna di allenarmi con lui che mi prese in simpatia e mi aiutò a crescere. Ma io allora vivevo, come ho sempre cercato di fare, il calcio in modo spensierato”.
Gli insegnamenti del padre da tramandare:
“Mio padre, che faceva il metalmeccanico a Pomezia, mi ha sempre insegnato che nella vita sono importanti due cose: il lavoro e il divertimento. Questo mi ha aiutato a vivere il football, da subito, come una pura passione. Vivevo il sogno del calcio, non la smania del calcio. Ai miei ragazzi, ai giovani che alleno, dico sempre che quando si sta sul palcoscenico, in piena luce, bisogna sempre ricordarsi da dove si viene, bisogna sapersi divertire per poter poi firmare autografi a bambini simili a come eravamo noi”.
Il trasferimento dalla Roma all’ Inter:
“Capii che la mia stagione alla Roma stava finendo. Arrivato Capello acquistarono Assunçao e io mi resi conto che era meglio cambiare aria. Oriali fece l’operazione e mi trovai nerazzurro. Era una squadra stellare, quella che si andava formando. Pensi alla coppia d’attacco con Vieri e quello che per me è stato il più grande calciatore degli ultimi venti anni: Ronaldo. Se fosse stato meglio fisicamente e avesse giocato di più avremmo vinto tutto. Davvero un “fenomeno””.
Lo scudetto perso nel 2002, proprio a Roma contro la Lazio:
“Non me ne parli, ancora ci soffro. Volevo vincere lo scudetto nella mia città. E avevo segnato anche il gol del due a uno. Poi tutto crollò, nessuno sa perché. La Lazio fece la sua parte ma noi ci liquefacemmo. Per uno dei misteri del calcio, successe così. Avevamo dominato il campionato e potevamo chiuderlo prima se strane decisioni arbitrali non ci avessero costretto a giocarci tutto all’Olimpico. Quel gol mi aveva fatto andare alle stelle. Lo avevo dedicato a mio cognato morto pochi giorni prima. Sentivo che avrei segnato. Mi feci una maglietta con scritto “Roby è per te”. Ma quel gol non servì, poi fu un tracollo inspiegabile. Finimmo simboleggiati dalle lacrime di Ronaldo in panchina. Era il 5 maggio, come nella poesia del Manzoni…”.
I giovani più forti allenati:
“Tanti. Ora mi viene da dirle sicuramente Berardi, ma non lo scopro io che è un campione. Poi Bernardeschi e il sorprendente Donnarumma, così maturo a un’età così giovane. Un tecnico si deve dire fortunato quando ha la possibilità di allenare talenti così. Io lo sono stato”.
Nomi emergenti dall’ Under 19:
“Hanno fatto un ottimo europeo. Le posso citare l’esterno sinistro Dimarco o Locatelli. Certo ancora non si vede all’orizzonte il nuovo Del Piero o il nuovo Totti o il nuovo Baggio”.