Il derby del 1998, tra 2 lampi di Simeone la perla del Fenomeno (quello vero)
E’ il 1998. Ci bastano diecimila lire per fare il pieno al motorino e la musica la ascoltiamo nei tutt’altro che piccoli, e sicuramente scomodi, compact-disc. Internet va lenta e se qualcuno chiama a casa, trova occupato. Le foto le scattiamo solo per immortalare qualche istante importante delle nostre vite. Proprio come ha fatto a Nagano, in Giappone, durante la diciottesima edizione dei Giochi Invernali, Deborah Compagnoni: con la vittoria nello slalom gigante è infatti diventa la prima atleta dello sci alpino a vincere una medaglia d’oro in tre edizioni diverse dei Giochi. Le sue sono lacrime di gioia, diverse da quelle che ci farà versare, a fine marzo, la coppia Leonardo Di Caprio e Kate Winslet: il 31 marzo uscirà Titanic.
O come quelle che ci provocherà il pallone di Di Biagio che, a luglio, si stamperà su una delle due traverse dello Stade de France: usciremo, ai calci di rigore, agli stramaledetti calci di rigore, ai quarti di finale contro i padroni di casa e futuri campioni del mondo. Ma la Francia la conquisteremo lo stesso in quell’estate di fine Millennio: grazie a uno scricciolo d’uomo, si chiamava Marco, Marco Pantani, che, in sella alla sua bicicletta, conquisterà la maglia gialla dopo aver già dominato, cinquanta giorni prima, il Giro d’Italia. La nostra Delorean, però, la parcheggiamo il 22 marzo. Siamo a Milano. Siamo dentro lo stadio Giuseppe Meazza.
E’ una sera fredda, ma è la sera del derby. Le squadre stanno vivendo campionati molto diversi. Il Milan non è più lo “squadrone” che ha dominato per larga parte degli anni Novanta: è infatti in ritardo di undici punti rispetto all’Inter e ne conta quindici nei confronti della Juventus capolista. La squadra di Gigi Simoni, invece, si aggrappa alla strapotenza di Ronaldo (quello vero, eh), alle giocate del francese di origini russe-armene Youri Djorkaeff e alla grinta di Diego Pablo Simeone: diciotto anni dopo, tanti interisti sperano in un suo ritorno come allenatore, a testimonianza di come i grandi amori partono, fanno dei giri immensi e (magari) ritornano. Se il pronostico è per l’Inter, il primo tempo è a tinte rosse e nere: il Fenomeno non fa il Fenomeno, Pagliuca fa Pagliuca e c’è da soffrire. Fino al minuto 42 quando Djorkaeff batte un calcio d’angolo. L’area di rigore è attraversata da un “proiettile” di nome Simeone: terzo tempo, stacco imperioso, fra tre maglie rossonere e pallone che si infila in fondo alla rete nonostante Ba, appostato sul palo di Sebastiano Rossi, provi a metterci il gambone. E’ il vantaggio dell’Inter, è l’ottavo gol in cinquantacinque partite di serie A per il “cholo”. Nel secondo tempo l’Inter, poi, imposta la gara difesa e contropiede, sfiora il possibile 2 a 0 con una punizione di Ronaldo ma è il Milan ad avere in mano il pallino del gioco. Prima Kluivert, poi Boban sfiorano il pareggio ma… Ma se in campo c’è un giocatore che, negli anni, trascenderà il gioco, un giocatore che porterà a dire il Pallone d’Oro Fabio Cannavaro «per la mia generazione è stato quello che Maradona o Pelè erano per le precedenti. Era immarcabile. Al primo controllo ti superava, al secondo ti bruciava, al terzo ti umiliava. Sembrava un extraterrestre», allora tutto può succedere. Può succedere che Moriero trovi il lancio giusto, che Lui bruci senza pietà due difensori avversari, che lasci rimbalzare il pallone e poi con un delicato colpo d’esterno superi Rossi. 2 a 0 e partita sostanzialmente finita. Perché il Milan perde il controllo, si distrae e Simeone (ancora lui) firma il 3 a 0. Triplice fischio. L’Inter si candida finalmente e seriamente allo Scudetto dopo 9 anni. Peccato che il signor Ceccarini, un mese dopo, a Torino… Ma questa, purtroppo, è un’altra (tristissima) storia.