Gli indico Ronaldo che sgambetta proprio sotto di noi:
«Eccolo il traditore». «Ma perché traditore, nonno? Non ho ancora capito». «Te lo spiego subito. Poche settimane dopo l’incubo dell’Olimpico, Ronaldo va a giocare il Mondiale in Corea e in Giappone. Segna 8 gol, 2 anche in finale alla Germania, trascina il Brasile alla vittoria. Viene eletto miglior giocatore del Mondiale, gli daranno un altro Pallone d’Oro. Ecco il trionfo che asciuga le lacrime di Moratti, di Daniela, di Denis e di tutti gli interisti della terra che pensano d’istinto: il Fenomeno tornerà da noi come padrone del mondo e questa volta la Juve non avrà scampo.
Sono sicuri che parlerà dell’Inter. Nessuno può immaginare che voglia andarsene, perché un giorno ha detto: “L’Inter sarà per me ciò che è stato il Santos per Pelé: un amore unico”. Invece, dopo la finale con la Germania, gli danno una sedia, lui si piazza su palchetto della sala stampa come su un trono e dice le prime parole da re del mondo. Ringrazia tutti: medici, allenatori, tifosi, parenti, amici… Parla di tutti, tranne che dell’Inter. […] Aveva già deciso di scappare al Real Madrid, dove pensava di vincere e di guadagnare di più. Rumenigge il puro, interista vero, commenta schifato “Una vera mascalzonata. Il calcio non ha bisogno di questi legionari”». Luigi Garlando è un giornalista, primissima firma della “Gazzetta dello Sport”, ed è anche un (bravissimo) scrittore. Questo passaggio arriva direttamente da “Ora sei una stella”, il romanzo dell’Inter, e centra perfettamente il clima di tensione che si respira l’11 marzo 2007 a San Siro.
Il 2007, d’altronde, è un anno di forti, fortissime tensioni:
a fine estate esploderà la crisi dei mutui statunitensi che avrà conseguenze nei mercati finanziari e non solo. Una crisi che sentiamo e paghiamo ancora oggi, quasi dieci anni dopo. Ma è un anno di forti tensioni anche nel mondo del calcio italiano: prima del derby Catania-Palermo, il 2 febbraio, scoppia una guerriglia tra tifoserie che causa la morte dell’ispettore Filippo Raciti. Il modo di accedere agli stadi, da quel momento, non sarà più lo stesso. Come la musica non sarà più la stessa: il 6 settembre, all’età di 71 anni, morirà il tenore Luciano Pavarotti. L’Italia tornerà ad essere profondamente scossa e segnata nella notte fra il 5 e il 6 dicembre: quando un incidente alle acciaierie ThyssenKrupp di Torino costerà la vita a sette operai.
Ma con la nostra Delorean torniamo all’11 marzo.
E’ un pomeriggio di sole a San Siro
L’Inter, capolista e profondamente trasformata dal mercato post Calciopoli, è piena di problemi di formazione: Roberto Mancini deve infatti rinunciare contemporaneamente a Cambiasso (e come lo sostituisci?), Vieira, Maicon (e come lo sostituisci, quello vero?) e Adriano. Il Milan – che in campionato non brillerà, ma vincerà la Coppa dei Campioni nel “replay” della sfida con il Liverpool – si affida alla classe di Seedorf, Kakà e, appunto, Ronaldo. La Curva Nord non risparmia il Fenomeno e il Fenomeno non risparmia l’ennesimo dispiacere alla Curva Nord: al 40esimo del primo tempo arriva il gol. Il suo gol. Ronaldo porta le mani alle orecchie come a dire “Non vi sento, fischiatemi più forte, non vi sento”. E’ dramma. Quello che non doveva succedere, si è appena materializzato. Ma questa è un’altra Inter, non è neanche lontana parente di quella dei naufragi con Lugano, Alaves, Helsinborg. Questo gruppo è alla base dello squadrone che, poi, dominerà in Italia, Europa e nel Mondo. Al nono minuto del secondo tempo, Mancini manda in campo un ragazzone argentino di Santiago del Estero. Impiega meno di trenta secondi: gol. (Quanto ci manchi, Julio Cruz). Da quel momento il finale si scrive da solo. Già perché al centro di quel quadrato, al centro di quella sfida fra giganti, c’è un ragazzo che non è come gli altri: né a livello di tecnica, né a livello di personalità. Il racconto del suo gol lo peschiamo ancora da “Ora sei una stella”: «El Jardinero deve ancora finire il suo lavoro. Infatti scende sulla destra, alza la testa, vede libero Ibra e lo serve a centro area. Giusto che sia lui, il bambino del ghetto di Rosengrad, cresciuto tra amici di mezzo mondo, il carnefice del Milan, che voleva far giocare solo i milanesi. Ibra angola il destro ed è 2-1 per tutta la vita».
L’Inter vincerà quel derby e stravincerà il campionato. Il Milan si prenderà l’Europa e perderà lo stile con quello striscione di Ambrosini durante la parata dei festeggiamenti per la Coppa dei Campioni. Che poi, Ibra, ci tratterà come aveva fatto Ronaldo è un’altra storia. D’altronde «è dallo stile e dall’eleganza del cuore che si riconoscono gli interisti. Noi siamo Giacinto Facchetti».E né Ronaldo, né Ibra lo erano. E lo saranno mai.
Matteo Gardelli