Amarcord derby 2006, il derby nel segno di Giacinto

La rivincita degli asini, la favola di Pinocchio…“Ridevano i nostri bambini azzurri, e piangevano gli adulti di Francia, sullo sfondo dei coriandoli mondiali che piovevano dalla notte di Berlino, e noi a gridare di gioia quei Franti che il mondo detesta, fischia, spernacchia e che perciò noi amiamo. Non perché sono bravi, ma proprio perché sono cattivi, giocano male, addirittura malissimo, perché sono odiati a scuola, spesso bocciati, ma sono nostri e ce li teniamo. È stata la rivincita degli asini sui professori, la favola di Pinocchio che resta quel meraviglioso discolo che faceva disperare Geppetto e disobbediva all’insopportabile grillo parlante”. Poche cose nella vita restano indelebili nella memoria di ognuno di noi: il primo bacio, magari rubato durante una gita scolastica alle scuole medie, l’estate della maturità passata con quelli che diventeranno gli amici di una vita, la prima volta che si arriva a Londra e si viene catapultati in quell’oceano di luci, suoni, colori e sapori che ci fanno capire di essere al centro del mondo. Se poi il mondo lo si conquista a livello calcistico, bé, quella resterà la più grande gioia sportiva. Specie se si ha vent’anni. Specie se si ha vent’anni e si è italiani.Ecco.Quasi sicuramente, mentre leggevate le parole vergate dal giornalista Vittorio Zucconi su Repubblica, l’indomani di quello straordinario 9 luglio, avrete capito che siamo nel 2006.L’anno in cui l’impossibile è diventato possibile. Già perché, ventiquattro anni dopo Paolo Rossi, a portarci sul tetto del mondo, nella finale più attesa e temuta, quella contro la Francia, è un ragazzone che, fino a poco tempo prima, giocava sui polverosi campi di provincia. Un ragazzone con la faccia pulita, i modi gentili che, in poco meno di un mese, riesce a procurarsi un rigore (quasi inesistente, no diciamolo pure dopo dieci anni: inesistente) con l’Australia, segnare alla Germania all’ultimo minuto dei supplementari in semifinale e, ma non poteva essere diversamente, calciare il rigore più importante della sua e delle nostre vite in finale.A dimostrazione di come abbia ragione Micheal Jordan, personalmente il più grande sportivo del XX secolo, quando dice: “I limiti come le paure, spesso, sono solo un’illusione”. A restare un’illusione, invece, sono i rapporti di pace fra Russia e Ucraina: seppur ancora lontani da quanto succederà, circa nove anni dopo, anche nel gennaio del 2006 le due nazioni si scontrarono e salta l’accordo per il rifornimento di gas. L’Europa viene attraversata da un brivido freddo, nonostante le rassicurazioni di Gazprom. Ma in quell’Europa, a giugno, nasce anche una nuova nazione: il Montenegro ottiene l’indipendenza con la secessione dalla Serbia. E sempre quell’Europa, che sognava ancora di essere una grande, unica nazione, allarga i suoi confini guardando proprio all’ex blocco sovietico: il 26 settembre il Parlamento europeo approva l’entrata di Romania e Bulgaria.Ma settembre, nonostante gli echi di festa risuonino ancora per le strade d’Italia, è un mese nero per il nostro calcio (perché non bastava la vergogna di Calciopoli, no assolutamente: se una cosa può andare male, in Italia andrà peggio, statene certi). Il 4 settembre, a 64 anni, muore Giacinto Facchetti. Un minuto di pausa, grazie.Comunque.Il 29 ottobre va in scena il primo derby, appunto, post Calciopoli e il primo derby senza Giacinto. L’Inter inizia a mandare segnali di “strapotenza”, basta semplicemente rileggere la formazione di quella partita: Julio Cesar, Maicon, Cordoba, Materazzi, Grosso, Vieira, Dacourt, Zanetti, Stankovic, Ibrahimovic, Crespo. Il Milan, allenato da Carlo Ancelotti, si affida al genio di Kakà, alle giocate di Seedorf e all’istinto del killer di Inzaghi. Al minuto numero 7 i ragazzi di Mancini sono già in vantaggio: cross di Santkovic, colpo di testa vincente di Crespo (ma che giocatore era il buon Hernan?). Poi, quindici minuti dopo, arriva il raddoppio: Stankovic “calcia da casa sua” e batte Dida. Dopo centoventi secondi dall’inizio del secondo tempo arriva anche il sigillo di Ibrahimovic (Nesta sta cercando, dieci anni dopo, di capire dov’è passato il pallone dopo lo stop dello svedese). Tutto finito? Macché. Seedorf prova a riaprire la partita, ma al 23′ della ripresa Materazzi sigla il 4 a 1. Sembra un tracimare a tinte nero e azzurre: ma quell’Inter era ancora l’embrione dello squadrone che dominerà nel mondo, quindi aveva ancora le scorie della vecchia (e volendo sempre cara) pazza Inter. Al 31′ Gilardino fa 2-4, al 46′ Kakà fa 3-4. I secondi finali si vivono in apnea. Poi arriva il triplice fischio del signor Farina. L’Inter vola a +14. Sì, avete letto bene: +14. E lassù “il Giacinto” avrà sorriso: sicuramente.Altri tempi, tempi lontani. Parafrasando l’articolo di Vittorio Zucconi sull’Italia Mondiale >.