L’ingaggio cinese di Tevez, l’ultimo episodio di un calcio immorale
Caro Carlitos ti scrivo
Caro Carlitos,
siediti, prima di imbarcarti per la Cina, che dobbiamo parlare.
Allora. Tu, negli ultimi tempi, hai vestito la maglia della Boca. E va bene. No, caro Carlitos, non va bene, non va bene per niente. Scusa ma cambio idea allo stesso ritmo in cui Suso illumina il campionato italiano: quindi sempre. Ho cambiato idea, ti dicevo, perché quella maglia per me, come per tanti argentini è stata, è e sarà per sempre la maglia di “abrazame hasta que vuelva Román”. Tu avevi una responsabilità. Tu, caro il mio Carlitos, nel 2010 dicesti: «Non voglio più giocare. Sono stanco del calcio, ma anche delle persone che lavorano nel calcio. Il calcio è diventato solo una questione di soldi, e non voglio averci più nulla a che fare».
Ed ora? Ed ora te ne vai in Cina, lasciando quella maglia, che tanti bambini che tirano un calcio al pallone ed altrettanti alla povertà sognano di indossare ogni singolo, santissimo giorno, per andare a guadagnare quanto io in 1000 vite non riuscire a racimolare? Da interista devo ammettere una cosa: con la maglia della Juve, i tuoi gol, il tuo voler “andare a morire” su tutti i palloni mi hanno conquistato. Poi, all’apice, perché a Torino, e mi spiace ammetterlo, hai raggiunto il tuo apice , hai deciso che, no, non va bene per niente signori, non va bene per niente perché il calcio è fatto di sentimenti e, quindi, quindi torno alla Boca. Sei stato per me un eroe: senza macchia e senza paura, quando hai preso quella decisione.
Matteo Gardelli