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Ruben Sosa si racconta: amore per l’Inter e voglia di tornare

Parole d’affetto dell’ex attaccante protagonista negli anni ’90

Ruben Sosa  uno degli idoli indiscussi della Cuva Nord nell’Inter degli anni ’90. Le sue punizioni, i suoi tiri improvvisi e i suoi incredibili gol sono rimasti sicuramente nella memoria dei tifosi nerazzurri. L’attaccante uruguagio ha raccontato a  FcInterNews.it la sua esperienza e ha commentato  la situazione attuale della sua ex squadra.

Partiamo con una domanda che qualsiasi tifoso vorrebbe porle. Come faceva a battere le punizioni in quel modo?

Da piccolino mi allenavo continuamente. Prendevo la palla e quasi da metà campo provavo a colpire la traversa. Il mio allenatore mi diceva che non sarebbe stato possibile centrarla più e più volte. Ma a me piaceva e allora calciavo e calciavo”.

E i frutti del lavoro si sono visti…
Le punizioni per me erano come rigori. Ripetevo sempre ai miei compagni: ‘Se ci fanno fallo al limite dell’area o anche più lontano va benissimo. Ci penso io. È mezzo gol’. Ovvio che ci volesse anche talento ma davvero il tutto era il risultato di allenamenti su allenamenti. Di ore e ore di lavoro”.

Che ricordi ha della sua esperienza con l’Inter, nella quale, tra punizioni e non, ne ha segnate di reti decisive…
Si tratta della squadra più forte in cui abbia giocato. Sono stati tre anni bellissimi. In campo davo tutto e mi sentivo un giocatore-tifoso che poteva calcare il terreno di gioco e difendere i colori della Beneamata. Lì è anche venuta fuori davvero la mia bravura. Prima avevo giocato per la Lazio, ma i biancocelesti erano appena stati promossi dalla Serie B. Amo entrambe le squadre, ma esprimendomi bene all’Inter ho dimostrato definitivamente il mio valore. Poi giocavo per i tutti i supporters meneghini. Mi sentivo uno di loro. E tuttora è così. Infatti quando vedo le partite con mio figlio e i nerazzurri perdono io sto male”.

Ultimamente allora non sarà stato benissimo…
“Certo. E capisco perché i tifosi siano arrabbiati. Ripeto io mi sento uno di loro. L’Inter è l’Inter. Se partecipa a tre tornei deve vincerne almeno due. È sempre stato così. Non è possibile perdere tutte queste partite con le squadre piccole”.

Si è dato una spiegazione per quello che è successo?
“Forse cambiare tanti allenatori non è stata la mossa migliore. Ogni tecnico deve avere il tempo per lavorare. Ma dico questo. L’Inter è l’Inter e i calciatori devono capire cosa significhi giocarci. Devono sudarsi la maglia. I nerazzurri hanno sempre vinto tantissimo e si deve continuare così. Vedendo i nomi dei giocatori attuali mi sembra che abbiano le qualità tecniche per stare nella rosa della Beneamata. Ma ripeto: devono capire dove stiano giocando e cosa rappresenti la casacca che difendono. L’Inter non può stare fuori dall’Europa e non vincere nulla in Italia”.

Che ricordi ha della vittoria in Coppa UEFA?
“Splendidi. Era difficilissimo trionfare in quella competizione”.

Adesso di cosa si occupa?
“Sono collaboratore tecnico del Nacional Montevideo. Aiuto i giovani a migliorare. Meglio se punte con un buon sinistro. Ma in generale sono un Ambasciatore della squadra”.

E in Italia è rimasto in contatto con qualcuno?
“Scrivo a Zanetti per fare l’in bocca al lupo alla squadra prima delle partite. Ogni volta che vedo Moratti lo saluto con affetto. E aggiungo che mi piacerebbe tornare…”.

In quale veste?
“L’Inter mi ha dato tanto e io vorrei ricambiare. Non sarebbe una questione di soldi. Vorrei solo porgere l’altra guancia. Con il cuore. Servono bambini che siano tifosi nerazzurri che ambiscano ai giocare per il team dei propri sogni. Lo stesso vale per quelli della Primavera. Io potrei allenarli. Anche per venti giorni, quando sono in Italia. Le giovanili sono il primo passo per arrivare in Serie A. Se la prima squadra dovesse andare male si potrebbe pescare tra i talenti del vivaio”.

Il suo è un legame molto forte…
“Certo. E mi raccomando scriva come concludiamo l’intervista…”.

Cioè?
“FORZA INTER- FORZA INTER- FORZA INTER (quasi grida con gioia, ndr). Mi raccomando scriva anche questo”.