Spalletti, entra all’Olimpico come Massimo Decio Meridio, ne esce come Nerone

Spalletti, una rivincita meritata

Spalletti torna a Roma, accolto all’Olimpico da un uragano di fischi .
Non male per una tifoseria cui aveva regalato il secondo posto ed il record dei punti.
Sappiamo tutti che la riconoscenza non è di questo mondo, tantomeno del mondo del pallone.
Il mister di Certaldo lascia lo stadio 90 minuti, tre pali e tre gol dopo.
I pali sono giallorossi, i gol nerazzurri, cose che capitano.
Poteva andare diversamente, vero, ma la fortuna bisogna anche sapersela meritare.

Spalletti e Di Francesco, inizi diversi

L’inizio di esperienza nerazzurra di Spalletti non poteva essere più complicata, tra FFP, provvedimenti del governo cinese, nessuno che vuole uscire da Milano, mal di pancia di giocatori importanti e una squadra da ricostruire dalle fondamenta.
Al confronto Di Francesco fino ad oggi s’è fatto una passeggiata di salute.
Una società piena i soldi dopo le cessioni di Salah e Rudiger, un impianto di squadra consolidato dallo splendido campionato scorso, poi nel pomeriggio di ieri pure la ciliegina (quasi certa) di Schick.
Tutto troppo bello troppo facile, non fa per l’Inter e per gli interisti.
Noi siamo abituati a vivere nella sofferenza, nelle difficoltà troviamo (spesso, non sempre purtroppo) le energie per rialzare la testa.

Nelle difficoltà emergono i grandi

I nerazzurri non sono gente da commedia.
L’ habitat naturale degli interisti è il melodramma (i drammi veri sono ben altri).
Conosciamo talmente bene questi luoghi, queste sensazioni, che ormai ci sguazziamo come una papera nello stagno.
Chi non c’è abituato, come la Roma ieri sera, ne subisce le conseguenze e magari impreca contro il fato e contra il VAR.
Spalletti ha metabolizzato tutto questo in due mesi, lo si capisce dalle interviste e dalla passione che pervade le sue risposte.
Un vero generale, un vero capo popolo.
Conosceva le difficoltà che sarebbero emerse in caso di sconfitta, ma conosceva troppo bene anche la Roma e Roma.
Spalletti è’ entrato nel moderno Colosseo romano come un predestinato al sacrificio, tra i pollici versi dei 60 mila fedeli di Totti, novello imperatore in tribuna che eccitava gli animi solo con la sua presenza.
E’ uscito come Nerone, suonando la cetra nerazzurra davanti alle TV dopo aver incendiato l’Urbe, aiutato dal suo giovane scudiero argentino.