Javier Zanetti intervistato dal Corriere dello Sport
Una lunga intervista a Javier Zanetti da parte del Corriere dello Sport, nel quale racconta tutta la sua storia, sino ad arrivare ai giorni d’oggi.
L’attualità
L’Inter potrebbe vincere lo scudetto quest’anno?
“Io credo che l’Inter in questo periodo stia dimostrando una grandissima continuità. Certo, ci sono squadre più attrezzate della nostra, ma per merito di Spalletti, dell’area sportiva, dello staff tecnico, dei ragazzi che lo seguono e che hanno forte convinzione, c’è oggi grandissimo entusiasmo. Vincere è sempre molto difficile, ma io credo che la cosa più importante per noi è che stiamo dimostrando di poter essere protagonisti. Oggi l’obiettivo primario è poter tornare in Champions League, perché è una vetrina importante e ti fa crescere come club”.
Cosa era successo negli ultimi anni che aveva provocato l’involuzione dell’Inter?
“Prima di tutto: dopo un lungo ciclo di grandi vittorie era fisiologico che prima o poi dovesse finire quell’incanto. Si doveva ricominciare a costruire un nuovo percorso, un nuovo ciclo. Non è mai facile perché, c’è bisogno di tempo e il calcio non te ne dà. In mezzo abbiamo cambiato tre proprietà. Io credo che quest’anno abbiamo iniziato a mettere le base per poter programmare un futuro che ci permetta di tornare a essere competitivi, il ruolo nel quale l’Inter deve sempre essere. Ci vuole la squadra che possa funzionare in campo, però altrettanto importante è la squadra che lavora fuori dal campo. Ognuno facendo il suo, dando il suo contributo. Insieme ai tifosi dobbiamo tutti essere allineati e allineati per poter tornare a competere e riportare l’Inter dove deve essere”.
C’è in questo momento un nuovo Zanetti in campo? O chi è il giovane italiano più interessante?
“Ognuno ha le sue caratteristiche, ha la sua personalità. Se devo dire un nome faccio quello di Florenzi della Roma. Mi piace la sua professionalità, come interpreta il calcio e la passione che mette in tutto quello che fa. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente e ho misurato la sua intelligenza e determinazione. Non soltanto per la Roma, ma per tutto il calcio italiano Florenzi potrebbe essere molto importante”.
A lei non sembra che ci sia una crisi di valori nel calcio?
“Sì, dobbiamo tornare ai calori: i tuoi valori sono importanti nella vira, perché con quelli cresci e quelli devi portare con te, sempre. Noi abbiamo una grandissima responsabilità perché il calcio è uno strumento talmente potente che noi dobbiamo sempre cercare di trasmettere questi valori in maniera positiva. Valori civili e sportivi: il rispetto per gli altri e la capacità di sacrificarsi”.
Con i suoi compagni di Squadra com’è il rapporto?
“Ho una grande amicizia con Cordoba e Zamorano. Roberto Baggio e Cambiasso, poi, sono tra quelli più intelligenti calcisticamente che ho avuto al mio fianco. Il Cuchu in futuro sarà un grande allenatore, lo era già in campo. Per fare l’allenatore uno se lo deve sentire, a me invece piace lavorare dietro le quinte. Ho un ruolo importante in una società all’avanguardia come l’Inter anche nel sociale, dove a me piace operare”.
Le origini
Come comincia a giocare a calcio Javier Zanetti?
“In Argentina c’è una grandissima passione per il calcio, si comincia a giocare per strada. La mia infanzia l’ho vissuta in un quartiere molto umile di Buenos Aires. Con tutti i miei amici, figli dei vicini di casa, ci riunivamo in un campetto di terra battuta e lì abbiamo iniziato a dare i primi calci. Oppure li invitavo a casa mia, che non era abbastanza grande, però c’era un minuscolo cortile dove fingevamo un campetto e giocavamo”.
E’ vero che la sua prima squadra si chiamava Disneyland?
“E’ vero: è stata un’idea di mio padre. Con i vicini di casa del mio quartiere hanno deciso di raccogliere fondi per fare un campo vicino casa mia. Era in questo piccolo club che si chiamava Disneyland e volevano farlo diventare non più in terra battuta ma di cemento. Ho passato tanti anni a giocare in quel campetto”.
Che faceva suo padre di lavoro?
“Il muratore. Per questo gli venne l’idea di trovarsi con tutti i vicini di casa per fare i lavori alla nostra Disneyland. Mi ricordo che in un fine settimana hanno lavorato dalle sei del mattino alle otto di sera, per finire quel bellissimo campo di cemento. Papà era quello che guidava tutto il team”.
Quando è diventato famoso e anche ricco, cos’ha regalato ai suoi?
“Ho vissuto molto da vicino tutti i sacrifici che avevano fatto mio padre e mia madre per non farci mancare nulla. Io ho un fratello più grande, i miei ci hanno permesso di studiare, giocare a calcio, di crescere sereni. Quando ho avuto il mio primo stipendio, sono tornato a casa e a cena ho detto loro: ‘Da adesso in poi non lavorate più’. E’ stata la cosa più bella che mi potesse capitare. Prima il sogno di diventare calciatore e poi poter dire loro: non lavorate più, adesso vi godete la vita insieme a me. E speriamo che io possa fare una lunga carriera, così mi accompagnerete, sempre”.
Lei è andato all’Independiente però le hanno detto che era troppo debole fisicamente.
“Io sono andato all’Independente perché sono tifoso di quella squadra, in Argentina. Ho iniziato a giocare a calcio lì, ma dopo cinque anni mi hanno detto che non potevo proseguire perché non crescevo. Il che era vero, la mia crescita era lenta. Sono rimasto molto male perché non me l’aspettavo. Sono rimasto fermo un anno, senza la possibilità di poter provare da un’altra parte. Così mi misi a lavorare in cantiere con mio padre. Un giorno stavo demolendo un muro, mio padre di ferma e mi dice: Tu cosa vuoi fare da grande. Il calciatore. E perché non provi ancora? E’ stato un segnale. Il giorno dopo ho parlato con l’agente di Talleres che mi ha fatto fare un provino e da lì è iniziata la mia carriera professionale. Avevo 14 anni e forse fare il muratore forse mi ha aiutato a irrobustirmi”.
E’ vero che vendeva il latte contemporaneamente al calcio?
“Sì in quella fase mi alzavo alle 4 del mattino perché distribuivamo il latte nei supermercati. Alle otto entravo a scuola, uscivo all’una e nel pomeriggio facevo gli allenamenti”.
Quanto pensa abbia contato il sacrificio che ha fatto all’origine?
“Tantissimo e conta tuttora. E conterà per sempre. Perché soltanto così io penso che riesci a dare valore a tutte le cose che ti capitano. Man mano che cresci riesci a capire il valore di tante piccole cose che magari diamo per scontate e che invece sono fondamentali. E questa educazione che mi hanno dato i miei è stata una cosa molto importante”.
Il suo allenatore più importante?
“Bielsa in Nazionale e Simoni in Italia. Mi sono trovato bene anche con Cuper. Mourinho è stato importante, al di là di quello che abbiamo vinto, perché ho trovato una persona diversa da quella che si vede in tv. Oltre alla preparazione, l’intelligenza che ha professionalmente, seppe creare un gruppo di grandi uomini. La parte umana è fondamentale nel calcio. L’Inter per me è una grande famiglia. Massimo Moratti è stato come un padre in Italia. Lo ringrazierò per tutta la vita perché mi ha aperto le porte in un Paese sconosciuto per me. Loro si sono fidati di me e ho percepito che i miei valori andavano d’accordo con i valori di questa società”.
Fonte: Corriere dello Sport