Indice dei contenuti
1 Un colpo da biliardo2 Il percorso italiano inizia in bianconero3 Il travaglio di calciopoli, sconquasso in serie A4 Fatale scelta, il tabù della prima coppa resiste a oltranza5 Per l’Italia, una fortuna la sua parabola del tramontoUn colpo da biliardo
Qualificazioni Euro 2004, Svezia -Italia, qualcuno ricorderà l’evento per noi infausto.
Noi siamo soliti lustrarci gli occhi davanti ad un “tacco 12”, ma quella volta ci toccava inchinarci davanti all’eleganza di un “tacco 10”.
Un numero 10, tale ZLATAN IBRAHIMOVIC, funambolo balcanico del pallone, cresciuto in Svezia e diventato incubo per molti avversari.
A meno di 5 minuti dal fischio finale, la partita era sull’ 1 -1; calcio d’angolo svedese, pallone che schizza 4, 5 volte fra teste e gambe in area, e arriva a quel diavolo di Ibra.
Una giravolta in acrobazia, chissà come e perchè, ma il pallone finisce sul suo tacco e scavalca anche Vieri, finendo in rete come spinto da una stecca da biliardo.
Il percorso italiano inizia in bianconero
Da quella partita, ho iniziato a cercare in rete ogni video che mostrasse le gesta di quel giocatore anomalo, gigantesco e allo stesso tempo agile e veloce.
Vaga somiglianza ad un altro fenomeno di nome Johann Crujff, stella dell’Aiax pluricampione d’Europa negli anni ’70.
Con mio grande sconcerto, Ibra andò a vestire poco tempo dopo la maglia della Juventus.
E come avversario bianconero mi terrorizzava, per le sue movenze costellate di finte, dribbling e scatti che ubriacavano intere difese.
A quel tempo, ricordo di averlo visto in difficoltà una sola volta, durante un match di campionato contro il Milan a S.Siro.
In quell’occasione, il Milan schiacciò la Juventus con un pesante 3-1, e vidi Ibra in stallo contro due italiani, nostri grandi nazionali: Maldini e Nesta.
Non c’era verso, nemmeno per IBRAHIMOVIC, detto “Ibracadabra“, di passare da quelle parti, quei due lo resero un giocatore “quasi” normale, mentre abitualmente era straordinario.
Il travaglio di calciopoli, sconquasso in serie A
Poi il cataclisma calciopoli, e il panorama calcistico della serie A venne disgregato con la retrocessione di Juventus, Fiorentina e Lazio, penalizzate anche in secondo grado, assieme al Milan.
In conseguenza della ristrutturazione della Juventus, l’organico della squadra subiva drastiche revisioni.
IBRAHIMOVIC, anche poco propenso (in virtù della sua ambizione) a disputare campionati in seconda divisione, venne messo sul mercato e ingaggiato dall’Inter.
Iniziò quindi una fase ascendente e diventò ben presto leader della squadra, pur non instaurando per sua stessa ammissione legami di amicizia con i compagni di squadra.
Spesso diede spettacolo e goal ad un pubblico osannante, portando la squadra a risultati eccellenti con tre scudetti consecutivi.
Ma con l’arrivo di Mourinho, si giocò in un solo anno la carta sbagliata: pur vincendo il titolo, scelse di rivelarsi mercenario e snobbando l’Inter si accasava al Barcellona.
Era convinto che solo lì avrebbe finalmente raggiunto la tanto sognata Champions.
Fatale scelta, il tabù della prima coppa resiste a oltranza
Destino volle che proprio quella scelta decretava altro anno di astinenza, perchè il Barcellona finì eliminato in semifinale proprio dall’Inter, che a Madrid conquistava la coppa a spese del Bayern.
La carriera di Zlatan IBRAHIMOVIC non avrebbe poi brillato nelle file della squadra spagnola, in cui altre stelle come Messi e Iniesta oscuravano la sua ambizione di protagonismo.
Nel 2010, dopo il triplete dell’Inter, tra la disapprovazione della tifoseria interista, lasciava il Barcellona e approdava al Milan, convinto ancora di agguantare certi sfuggenti traguardi, tra cui la prima coppa campioni.
Gli riuscì la conquista di uno scudetto e una supercoppa, ma niente Champions, nemmeno dopo, quando entrò nel PSG lasciando il Milan e vincendo parecchio: 4 campionati a Parigi e diverse coppe nazionali.
L’ultimo approdo, al Manchester U., gli fruttava solo una coppa di Lega e una Europa League.
Per l’Italia, una fortuna la sua parabola del tramonto
Ora, all’alba dei 36 anni, pare intenzionato a lasciare i campi di calcio, rassegnato allo scorrere del tempo.
Noi dobbiamo essere grati alla buona sorte, perchè l’Italia con un IBRAHIMOVIC in campo avrebbe rischiato seriamente l’addio al mondiale, senza contare nemmeno sull’ultima chance a S.Siro.
Aldilà di questo e di tutto il resto, è doveroso riconoscere grande merito al giocatore per aver rappresentato superlativamente diverse squadre italiane.
Ma ahimè, anche per aver reso evidente quella carenza del nostro calcio del non saper coltivare un vivaio all’altezza di sfornare campioni di tale calibro.
Consoliamoci, comunque, visto che nell’intero panorama calcistico mondiale di giocatori così ne nasce uno ogni 30 anni.
Ci resta una flebile speranza, Lunedì: vederlo in tribuna, ma senza sorriso sulle labbra al fischio finale….