Nazionale: diciamo la verità, quanto importa davvero ai tifosi del destino azzurro?
Indice dei contenuti
1 Nazionale: un interrogativo dopo Stoccolma2 Il tifo per la propria squadra è totalizzante3 Il concetto di “altro”4 Altro sono anche i giocatori5 Chi tifa davvero per la Nazionale?6 E poi ci sono gli irriducibiliNazionale: un interrogativo dopo Stoccolma
Il post Svezia Italia lascia aperti diversi interrogativi. Ventura è da nazionale o no? La BBC bianconera è alla canna del gas o può ancora reggere l’impatto? Meglio Eder o il primo cha passa dalle parti di Coverciano? I media nazional- popolari si stanno ingegnando per trovare la risposta più autorevole e più originale. Leggendo i social e le reazioni dopo l’inusitata sconfitta di una nazionale che neanche IKEA riuscirebbe ad assemblare peggio, il vero interrogativo però è un altro. Siamo prima interisti, milanisti, juventini, romanisti ecc. che italiani ? Quanto importa davvero ai tifosi della nazionale azzurra? Perché le piazze si riempiono di tricolori in occasione dei successi degli azzurri ma quando le cose vanno male sono le piazze social a riempirsi di sberleffi e ingiurie?
Il tifo per la propria squadra è totalizzante
Una prima riflessione: l’italiano medio, per sua natura è un opportunista, un attendista. Prontissimo a salire sul carro del vincitore e a scendere appena il barometro segna tempesta. Il tifoso non esula da questo schema. Nel calcio, questo atteggiamento si trasforma nella logica dell’”abbiamo vinto” e dell’ ”avete perso” . Forse con una spiegazione in più, che chi legge può interpretare come attenuante, ma in effetti non lo è. Il tifo vero, quello più sentito, è una “malattia” totalizzante, invalidante al 100%. Non ci sono vie di mezzo, compromessi. In quei 90 minuti i neuroni girano solo in funzione della squadra amata. Il tifoso autentico, quello più passionale, vive la partita come un momento di astrazione totale dalla realtà. Con lo stomaco in subbuglio, la respirazione affannosa, il ritmo cardiaco accelerato. Il rapporto con la squadra è diretto e immediato, c’è una sorta di trasfigurazione collettiva, come se ogni tifoso fosse in quel momento in campo a vivere le emozioni della partita.
Il concetto di “altro”
La nazionale è un’altra cosa. Se la squadra amata è “mia”, la nazionale è, per definizione, “nostra” (quando va bene).
Già questo attenua l’intensità del rapporto, perché entra in ballo il concetto degli “altri”. Altri che possono essere gli amici con cui la partita viene vista in TV tra fiumi di birra, una lasagna, pasticcini vari e i commenti sulla segretaria bona appena arrivata in ufficio. Elementi estranei per un tifoso vero durante la partita della propria squadra. Elementi da giorno di relax, da scampagnata, raramente rinvenibili durante una partita di campionato vissuta davanti alla TV, men che meno allo stadio (birretta a parte).
Altro sono anche i giocatori
Dunque, se la diversità dell’altro è tollerabile mentre si assiste ad una partita degli azzurri, diventa inammissibile durante una partita della squadra del cuore, durante la quale o la pensi come me o sei out. Unica eccezione l’amico che tifa per gli avversari, ammesso solo per fungere da punching ball per lo scarico di sfottò e adrenalina. Ma altro sono anche gli azzurri che giocano in squadre diverse da quella amata. L’episodio di Chellini in Svezia Italia che si rotola dal dolore ma con l’occhietto juventino sbircia cosa fa l’arbitro, è un episodio che all’estero non avrà avuto nessuna rilevanza. Solo gli interisti possono vantarsi di essere docenti illuminati in questo campo, ricordando Busquets, l’espulsione di Thiago Motta, l’inferno sofferto quella notte fino al triplice fischio di De Bleeckere. Non troverete mai uno svedese che si sia alterato per quell’occhiata subdola più di un interista. Perché per ogni nerazzurro che si rispetti, in quel momento Chellini più che un azzurro era uno juventino.
Chi tifa davvero per la Nazionale?
Altro sono quei giocatori, anche di grade prestigio, che stanno tutto l’anno a far prediche di correttezza e moralità a chicchessia a tutte le ore su ogni canale. Salvo poi scagliarsi contro il VAR, contro il sistema, gridando al complotto al primo rigore subito. Gli stessi che quando poi giocano in nazionale, chiedono o meglio implorano il tifo unito e privo di ogni divisione a tutti gli appassionati. Si potrebbe dunque concludere che la nazionale sia amata e tifata in maniera onesta e sincera solo da chi durante l’anno vive il calcio in maniera disinteressata? Probabilmente si. Chi tifa davvero per una squadra può al massimo fingere di accalorarsi per le sorti degli azzurri. Ma sotto sotto non gli importa quasi una mazza. Almeno finchè si tratta di partite di qualificazione.
E poi ci sono gli irriducibili
Il clima del mondiale vero e proprio riuscirebbe probabilmente ad ammorbidire almeno alcuni tra i meno duri e puri, coinvolgendoli un po’ pur senza entusiasmi dirompenti. Il rovescio della medaglia sta nei non rarissimi casi limite di chi non si riguarda ad esprimere a testa alta la propria soddisfazione nell’affermare di non provare alcun dispiacere se la BBC bianconera andasse al mare in Sardegna la prossima estate anziché al mondiale russo. Il calcio è questo. Il calcio è bello anche per questo. E negare che sia così serve quanto nascondere la testa sotto al cuscino.