Cairo fa il punto sulla situazione calcistica
Urbano Cairo, numero uno del Torino, è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport e ha fatto il punto su tutto il movimento calcistico. Non sono mancate le parole per Ventura, tecnico rilanciato proprio da lui stesso,e ancora sul tema stranieri in campo.Il presidente granata ha le idee chiare e promuove un radicale cambiamento. Queste tutte le risposte alle domande che gli sono state poste:
“La sconfitta con la Svezia rappresenta un risultato così grave che non può essere liquidato con le parole. Non basta promettere di fare le riforme, andrebbe resettato tutto”.
Eppure Tavecchio non si è dimesso e va avanti…
“È un fallimento epocale, una svalutazione per il movimento. L’azienda calcio ha portato i libri in tribunale, sportivamente parlando ma pure considerando le ricadute economiche. Quando succede una cosa del genere i manager devono pagare un prezzo. Anche io da presidente del Torino ho vissuto momenti molto difficili, perché evidentemente facevo degli errori: sì, sono andato avanti ma da proprietario ho pagato un prezzo economico importante. Si prenda atto che l’uscita dal Mondiale è un fatto gravissimo, non a caso non accadeva da 60 anni”.
Quindi Tavecchio sbaglia ad arroccarsi in via Allegri?
“Quando fu eletto la prima volta non lo votai, poi gli ho dato il mio voto per la rielezione e ho gradito un certo lavoro svolto, andato al di là di quanto mi aspettassi. Il mio giudizio è positivo ma di fronte a questo fallimento deve trarre le conseguenze, non può andare avanti come se niente fosse. Non sono un elettore del Pd ma ho apprezzato il gesto di Renzi che dopo il referendum si è dimesso da premier e da segretario del partito, per poi ripresentarsi alle primarie e vincere. Tavecchio dovrebbe fare lo stesso: nulla gli vieta, in teoria, di ricandidarsi con un progetto super, ma serve un forte segno di discontinuità. E non basta gettare sul tavolo un nuovo c.t. di gran nome e molto amato…”
Deluso da Ventura?
“Non ho visto neanche lontanamente il Ventura che conoscevo. Probabilmente avevo ragione quando, qualche estate fa, dissi che lo vedevo più come allenatore di club perché ha bisogno del lavoro quotidiano sul campo per inculcare i suoi eccellenti insegnamenti ai calciatori. Mi dispiace per lui e per l’Italia. Ero allo stadio con i miei figli, abbiamo sofferto come tutti. È un peccato soprattutto per i bambini che si perdono il Mondiale ma ora dobbiamo cercare di ripartire facendo interventi seri”.
Ripartire da dove?
“La Svizzera, con 8 milioni di persone, si è qualificata, il Belgio, che ne ha 11 milioni, lo stesso. Per la legge dei grandi numeri è più probabile che nascano in Italia i potenziali campioni, visto che siamo 60 milioni. Ma poi questi calciatori devi allevarli bene e in questi anni non è stato fatto, mentre in quei due Paesi, per esempio, hanno messo a frutto i centri di formazione. Bisogna ripartire dai giovani”.
Ci sono troppi stranieri in Italia?
“Non è quello il problema. Il numero è simile a quelli delle altre nazioni europee di riferimento. Semmai va creato il contesto giusto per far emergere i talenti investendo nella loro formazione e in quella degli istruttori. Sono favorevole alle seconde squadre per far maturare i ragazzi. E poi sarebbe giusto introdurre una norma che obblighi i club a destinare una quota del fatturato agli investimenti nei vivai. È vero che parliamo di società di capitali ma nel calcio c’è anche una componente pubblica”.