Indice dei contenuti
1 Gianni Brera, un quarto di secolo dopo2 Ogni immagine una lezione3 Il tempo del calcio4 Il catenaccio di RoccoGianni Brera, un quarto di secolo dopo
In tanti oggi, a 25 anni dalla sua scomparsa, si saranno chiesti cosa avrebbe pensato Gianni Brera in questi anni di esplosione del calcio scritto sui social.
Lui che di questo sport, o gioco, come preferiva chiamarlo, ha rappresentato la prima svolta linguistica vera avrebbe sorriso mestamente di fronte a tante filastrocche senza senso ripetute come un tam tam indiano alla ricerca di un piccolo spazio in un mondo dove qualcuno legge e pochissimi capiscono.
Oppure avrebbe tirato la sua pipa con enfasi ancor più stizzita, forse sperando che un rivolo di fumo gli annebbiasse gli occhi per un attimo per non leggere oltre.
A 25 anni dalla scomparsa del primo poeta del pallone italico, in mezzo a questo proliferare di emuli indegni, noi per primi intendiamoci, la mancanza di un gigante come lui si fa sentire forte e incolmabile
Ogni immagine una lezione
La melina e il contropiede, Accaccone (da HH iniziali di Helenio Herrera), l’abatino Rivera, Gigi Riva Rombo di Tuono. Le sue definizioni all’epoca del bianco e nero valevano quanto e più un intero abbonamento annuale di Sky.
Valevano davvero come metodo giornalistico di formazione al calcio. Sapeva di essere un maestro Brera, maestro di calcio e maestro nel raccontarlo e dunque metteva volentieri a disposizione del popolo quella sua arte. La dispensava affinchè tutti potessero aprire gli occhi dalle tenebre della superficialità se non addirittura dell’ignoranza.
Il tempo del calcio
C’era una risorsa a quel tempo che oggi latita, il tempo. Brera raccontava il tempo del calcio e quello che il calcio era diventato nel tempo. E tempo occorreva per riflettere e metabolizzare i suoi insegnamenti.
Oggi già leggere un post più lungo di otto righe stanca la mente.Non c’è il tempo, né la voglia di soffermarsi su un concetto. Se il messaggio è istantaneo bene altrimenti non esiste.
Brera invece passò la sua vita a discettare di calcio, anche a tinte forti con amici e colleghi. Restano epiche le sue pagine sul fenomeno calcistico di quei tempi, il catenaccio del suo grande amico Nereo Rocco.
Il catenaccio di Rocco
Da uomo di cultura enorme qual’era, non poteva fermarsi alla conta di difensori ed attaccanti. E dunque ne dava una spiegazione sociale, antropologica, sostenendone la legittimità come reazione della inferiorità muscolare degli atleti italiani allo strapotere fisico dei giocatori del nord Europa.
Ci manca quel tempo, ci manca quella cultura, ci mancano quelle immagini, non solo a noi. Manca a tutto il calcio italiano, che avvizzisce sempre più tra gossip, cifre a sei zeri e commenti terra terra.
Terra terra come questo ricordo, che comunque vogliamo credere che Gianni Brera legga sui social di lassù, senza farsi andare il fumo della pipa negli occhi.