Coutinho, Coutinho, perché proprio tu Coutinho?
Leggere in questi giorni le cifre iperboliche con le quali il Barca sta cercando di assicurarsi Philippe Coutinho potrebbe causare l’ennesimo mal di fegato a tanti tifosi nerazzurri. “Era nostro l’abbiamo mandato via per due palanche e ora…”. Se guardiamo solo alla pecunia la lamentela è più che legittima. Se torniamo indietro con la memoria a quegli anni, la delusione resta ma forse un po’ mitigata da una realtà oggi dimenticata. Coutinho era arrivato all’Inter nell’estate del 2010. L’Inter e gli interisti sono ancora completamente ubriachi di Triplete, l’estate è scandita dagli eroi di Madrid che, a turno, bussano a pecunia alla porta di Moratti. Il Presidente, come un papà strafelice, accontenta ad uno ad uno tutti suoi figliocci, guardando solo la foto del Bernabeu e non i registri contabili. Restano tutti, anche il Principe Milito che aveva fatto fuochi artificiali con le sue dichiarazioni ancor prima di fare il giro d’onore con la Champions.
Arriva dopo il TripleteQuando ricomincia il campionato, non c’è più Mourinho in panca, ma Benitez, un altezzoso spagnolo che pensa che il mondo inizi e finisca al suo indirizzo di casa. Questione di ore, e i senatori avevano già preparato le buste della spesa per lui. In quel gruppo ci sono solo fuoriclasse, o quasi. E se non sono tali sono uomini con personalità e marroni così evidenti da mettere soggezione a chiunque. Ecco dove e quando arriva all’Inter Coutinho, chi lo dimenticasse farebbe un errore marchiano. Lo spazio per il giovane brasiliano è poco, lui non ha ancora 19 anni, molti senatori lo vedono più come una mascotte che come un compagno di squadra. A dicembre 2010 l’Inter va a vincere la Coppa Intercontinentale. Coutinho non c’è, vittima di un infortuni che lo tiene fuori per diverso tempo.
Quando gioca, il ragazzino fa chiaramente intravedere che i numeri ci sono tutti. Ma la stazza fisica è quella che è, la muscolatura idem e chi dovrebbe lasciargli il posto si chiama Wesley Snejider. Ironie a parte. i compagni di squadra capirono alla svelta che il ragazzo aveva qualità, i tifosi anche. Resta nella memoria di molti una gara del girone iniziale della Champions del 2011, quella con il Werder Brema. Alla mezz’ora del primo tempo, due colpi di Eto’o e uno di Snejider avevano già messo il risultato in frigo. Da lì in poi si giocò solo con uno scopo, far segnare Coutinho. San Siro lo spingeva come si sospinge il passeggino di un figlio in una bella giornata primaverile, i compagni lo cercavano da tutte le parti. Ebbe un’occasione fantastica e due mezze occasioni Coutinho, ma non era ancora arrivato il suo momento.
Chi oggi dice che Coutinho se ne andò a causa delle solite ondate di proteste e di brontolii degli spalti del Meazza è ingiusto o non ricorda bene. San Siro brontola ma sa distinguere il talentuoso dalla sòla. E raramente si sentirono i tifosi bofonchiare contro Coutinho. Nel gennaio 2012 Coutinho va in prestito in Spagna, all’Espanyol. Il ragazzo deve giocare, deve crescere e a Milano l’aria è ancora troppo pregna dei successi di Mourinho. Quando rientra alla base, nell’estate successiva inizia bene poi si infortuna. E qui iniziano altri momenti da riportare alla memoria. I fatti principali sono due: dal lato calcistico, a fine 2012 stava arrivando Mateo Kovacic, sul fronte economico stavano invece arrivando i nodi al pettine per la situazione di bilancio sempre più difficile. I satanassi del Triplete avevano iniziato a lasciare l’Inter, chi per motivi di età chi per esigenze economiche. Il sogno si era sgonfiato, il cielo sopra la Pinetina segnava tempesta continua. Nel frattempo era arrivato qualche nome illustre (Cassano, Pazzini) e diversi che nell’Inter di Mourinho forse avrebbero fatto fatica a portare le rete dei palloni (Schelotto, Kuzmanovic, Pereyra,ecc). Gente spendibile sul mercato per acquisire risorse economiche fresche quasi nessuno ormai.
Uno si c’era, Coutinho. Non che portasse decine di milioni di euro, ma tutto quello che arrivava era un ben di Dio in quei momenti. Ed in più andava tutto a plusvalenza. Il Liverpool piombò come una iena sull’animale ferito. Insieme a Massimo Moratti, sempre più deciso a mollare, c’erano Fassone DG, c’era ancora Branca Direttore dell’Area Tecnica e c’era già Ausilio come DS. Se un rimprovero deve essere fatto è a loro tre che va rivolto, per un semplice fatto. Quello di non aver creduto fino in fondo nelle qualità di Coutinho, tanto da preferire i 13 milioni dei Reds ad un tentativo in extremis di trovare quei soldi da altre parti, salvaguardando un patrimonio tecnico.
Ma forse parlare oggi, ad anni di distanza e senza avere in mano niente più che le cronache giornalistiche di quei tempi può essere anche dannatamente facile e riduttivo. Pochi maledetti e subito, fu il concetto applicato dalla dirigenza nerazzurra in quel frangente. Difficile certo, perché i debiti stavano strozzando Moratti e l’Inter, che infatti da li a poco fu ceduta a Thohir. Ecco, una volta rimessi a posto i quadri del puzzle dell’epoca, ognuno potrà decidere se continuare ad imprecare leggendo del valore odierno di Coutinho. Ma sapendo che gli errori che certo ci furono erano causati dalla congiuntura in cui la società era venuta a trovarsi. Dunque nessun tentativo di giustificare nessuno, anzi, ma solo il tentativo di rileggere i fatti di quei tempi nella maniera corretta.