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(Corsera) Intervista a Jürgen Klinsmann “L’Inter sarà sempre parte di me”

Indice dei contenuti

1 Jürgen Klinsmann parla di Inter e nazionale al Corriere della Sera2 Dov’è finito dopo il divorzio con la nazionale statunitense?3 Lei aveva qualche anno in più di suo figlio quando arrivò a Milano. Cosa si ricorda?4 La segue ancora?5 Cos’aveva di speciale la sua Inter?6 Cosa ne pensa dell’eliminazione azzurra dal Mondiale?7  Quali sono le basi da cui ripartì la Germania con lei per la ricostruzione?8  Come si è arrivati ad avere così tanta qualità e quantità?Jürgen Klinsmann parla di Inter e nazionale al Corriere della Sera

Tre anni in nerazzurro terminati a causa di un ottavo posto. Una Supercoppa ed una Coppa Uefa vinte. Jürgen Klinsmann torna a parlare della sua Inter e dell’Italia fuori dal Mondiale come i suoi USA.

Non sono solo Italia ed Olanda le grandi escluse dal mondiale in Russia. Anche gli Stati Uniti, allenati fino ad un anno fa da Jürgen Klinsmann, hanno mancato l’appuntamento con il mondiale. Oggi Klinsmann viene intervistato dal Corriere della Sera per parlare sia di nazionali e Coppa del Mondo, sia per parlare di Inter e Serie A.

Dov’è finito dopo il divorzio con la nazionale statunitense?

“Ho preso il diploma per piloti professionali di elicottero. Ho imparato lo spagnolo, che qui in California è importante quanto l’inglese. Infine ho visto mio figlio giocare il mondiale Under in Korea, adesso è all’Hertha Berlino.”

Lei aveva qualche anno in più di suo figlio quando arrivò a Milano. Cosa si ricorda?

“Mi ricordo tutto e sono solo cose belle. Da voi ho imparato che la vita è soprattutto un fatto di incontri e di legami: io sono stato travolto dal modo in cui le persone mi trattavano nei miei anni all’Inter. Quando provavo a parlare italiano, mi tiravano fuori una parola di bocca e costruivano un’intera frase per me. Avevano una pazienza incredibile.”

La segue ancora?

“Sì, sarà sempre parte di me. Guardo sempre le partite in televisione. Il legame che gli interisti hanno con la loro squadra è profondo e molto esigente: ti fa sentire la grande responsabilità che hai, quella di dare il tuo meglio in ogni singola partita.”

Cos’aveva di speciale la sua Inter?

“Basterebbero un po’ di nomi: Brehme, Matthäus, Bergomi, Beppe Baresi, Zenga, Serena, Berti, Ferri… Era una squadra speciale perché ciascuno di noi aveva un rispetto enorme per l’altro. Non dimenticherò mai le cene a casa Pellegrini. È stato un presidente meraviglioso per me, mi ha insegnato molto.”

Cosa ne pensa dell’eliminazione azzurra dal Mondiale?

“È stata molto triste. Ma è la dimostrazione che nel calcio non ti puoi mai rilassare. E soprattutto che tutti — allenatore, giocatori, dirigenti e federazione — devono remare tutti dalla stessa parte per avere successo. Vista dall’esterno, è stato evidente che non era questo il caso dell’Italia. Ed è un grande peccato.”

 Quali sono le basi da cui ripartì la Germania con lei per la ricostruzione?

“Bisogna essere tutti sulla stessa lunghezza d’onda. E capire che un lavoro di fondo ha bisogno soprattutto di pazienza. Anche Low, che era il mio vice ed è diventato c.t. dopo il Mondiale del 2006, all’inizio era criticato. Ma il ciclo di una Nazionale deve durare a lungo. Nel 2004 sapevamo che i giovani che avremmo fatto debuttare sarebbero stati pronti a vincere i grandi appuntamenti solo dopo alcuni anni. Alla fine ce ne sono voluti 10 per rivincere la Coppa. E questo dimostra che Low era l’uomo giusto e che la continuità e la pazienza pagano.”

 Come si è arrivati ad avere così tanta qualità e quantità?

“Dal 2004 i club di Bundesliga hanno investito molto sui loro centri di formazione. E tutti si sono adeguati a un certo stile di gioco offensivo e veloce, in cui la squadra sa recuperare il possesso del pallone in un attimo, per poter ripartire subito. È questa la chiave per vincere.”