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Cristian Chivu sul Corriere dello Sport “Mi piace Skriniar, difensore completo”

Indice dei contenuti

1 Cristian Chivu si racconta al Corriere dello Sport2 Come ha cominciato a giocare a calcio Cristian Chivu?3 Chi era il suo mito calcistico quando era bambino?4 E dove vedeva queste partite, dato che non aveva la televisione?5 Lei è stato quattro anni in giallorosso . Come li ricorda?6 L’incidente alla testa…7 C’è oggi un difensore che le sembra al vostro livello ?8  Cosa le manca di più?Cristian Chivu si racconta al Corriere dello Sport

Dalle partitelle per strada con gli amici in Romania fino al triplete, passando per l’Ajax, la Roma e l’infortunio alla testa. Cristian Chivu si racconta al Corriere dello Sport senza filtri. Uno dei pilastri dell’Inter di Mourinho che arrivò al triplete, oggi opinionista per Fox Sport Italia

Domenica a San Siro si affronteranno Inter e Roma, le ultime due squadre della carriera di Cristian Chivu. Con la Roma è arrivato in Italia, con l’Inter ha vinto tutto. La storia di Chivu, però, parte da molto più lontano. Parte dalle partite per strada con gli amici in mezzo alla rivoluzione e finisce sul tetto d’Europa a Madrid.

Come ha cominciato a giocare a calcio Cristian Chivu?

“Sulla strada. Lì un bambino è libero di decidere, di imparare, di comprendere la dinamica del gioco del calcio. Diciamo che fino ad una certa età il bambino deve essere libero di scoprire la bellezza e la libertà del calcio. La strada è perfetta, per questo.”

Chi era il suo mito calcistico quando era bambino?

“Da bambino, come tutti i rumeni, seguivo la Nazionale. Era l’unica squadra che potevamo vedere e per noi Hagi era un sogno che correva.”

E dove vedeva queste partite, dato che non aveva la televisione?

“Diciamo che la televisione c’era: trasmetteva due ore al giorno la sera, quando c’era il telegiornale. Tutto era pro Ceausescu, si diceva quanto la Romania fosse bella e ricca. Tutto quello che non era, in verità. Però le partite di calcio della Nazionale le facevano vedere. Anche se si giocavano al pomeriggio. La mia città era al confine con la Serbia. L’Europeo dell’88,quello vinto dall’Olanda con un gol di Van Basten, lo vidi su una collina con la tv attaccata alla batteria della macchina e con una persona che teneva in mano l’antenna. Poetico, no?”

Lei è stato quattro anni in giallorosso . Come li ricorda?

«Dopo quattro anni in Olanda sentivo che, per seguire la mia crescita come giocatore e come uomo, mi serviva un’altra esperienza. Quell’estate arrivò l’interessamento della Roma con Franco Baldini che era venuto ad Amsterdam a parlare con la società e con me. Fabio Capello mi disse chiaramente la sua volontà di avermi nella squadra. Quindi decisi di andare via. In una grande squadra come la Roma potevamo fare di più, potevamo vincere lo scudetto… Ma sono orgoglioso della scelta che ho fatto. Ho passato quattro anni meravigliosi, là.”

L’incidente alla testa…

“E’ un incidente che mi ha cambiato. Mentre ero in sala pre-operatoria ho capito che le cose potevano finire molto male. Quando sei vicino al peggio cambi, cambi il tuo modo di essere, il tuo modo di pensare, di vedere la vita. Allora avevamo una figlia piccolina, la mia più grande paura era non vederla più. Non pensavo al calcio, pensavo alla famiglia, pensavo al fatto che avrei rischiato di non essere presente nella sua vita e che sarei potuto uscire dalla sala operatoria invalido per sempre. Pensieri tremendi. Ma grazie a Dio, grazie ai medici, sono riuscito a tornare come prima e sono riuscito anche a ritornare a giocare a calcio.”

C’è oggi un difensore che le sembra al vostro livello ?

“Ci sono difensori forti, che devono avere però la convinzione di essere forti. A me piace Skriniar, ha avuto una crescita notevole da quando è arrivato all’Inter. Giocare in squadre importanti, accanto a giocatori importanti fa esprimere qualcosa in più. Lui è un difensore completo, bravo nell’uno contro uno, bravo nel leggere il gioco. Quello che secondo me in questo momento manca ai difensori è il coraggio di andare a giocarsi l’uno contro uno, manca il coraggio di andare a fare il duello. Ormai, soprattutto in Italia, siamo abituati tutti ad avere raddoppi, ad avere coperture, ad avere mille cose ma ci siamo dimenticati che difendere è, in primo luogo, andare a fare l’uno contro uno…”

 Cosa le manca di più?

“Lo spogliatoio. E’ la cosa più bella che una persona può avere: condividere emozioni, condividere tutto con gli altri. Sapere che tutte le mattine vai in un gruppo dove ci scambiano energie, esperienze, visioni . E saranno scelte importanti per te, per la squadra, per il tuo futuro. Non mi manca la partita, non mi manca l’adrenalina che una partita ti dà. Mi manca l’esperienza unica di condividere con altri il calcio e la vita.”