L’Inter ammalata di pareggite
Indice dei contenuti
1 Inter, quel tesoretto di punti…2 Quel maledetto inafferrabile virus3 In campo scende sempre la squadra4 Quel Milan di Sacchi, Van Basten e Gullit…Inter, quel tesoretto di punti…
Sinceramente non saprei nemmeno da dove iniziare un commento, dopo questa decima partita senza vittorie. Una volta avrei affrontato questi periodi con rabbia, contestazione contro tutto e tutti, oggi invece sono diventato fatalista. Guardo questi assurdi cicli con filosofia, non rassegnazione, assimilandoli un pò alla ruota della fortuna. Ci sono numeri che ritardano? Arriva ad un certo momento l’uscita in sequenza, uno dopo l’altro, e se prima dicevi “che culo”, ora ti tocca dire “che sfiga”. Certo, è troppo semplicistico liquidarla così, ma che facciamo, ci mettiamo a piangere pestando i piedi per terra? E’ quello che dovrebbero dire i giocatori, gli stessi che per una somma di fattori hanno accumulato nel girone di andata un piccolo tesoretto di punti. Quelli che, in stile da pazza Inter, la mantengono al quarto posto nonostante 10 partite da controfigura sbilenca della squadra iniziale, ammalatasi di pareggite acuta.
Quel maledetto inafferrabile virus
Chi osserva da fuori, vede quel quarto posto che in partenza era tutt’altro che scontato alla terza di ritorno, vede un Icardi oggi assente ma con 18 gol. Vede una difesa che è la terza o quarta del campionato. Vede che due sconfitte non sono maturate con dirette concorrenti, ma con squadre di media o bassa caratura. E si chiede come sia possibile che questa squadra non vinca da 10 partite, e come sia possibile pure che abbia 45 punti, davanti alla Roma sotto di 4. Roba da pazza Inter, come sempre, ma è lecito chiedersi perchè passano allenatori in serie da quasi 7 anni e nessuno riesce a individuare il virus. Quel maledetto virus che ad un certo punto si impadronisce di questa squadra, a prescindere dai giocatori che di volta in volta la formano, e la trasforma. Da accettabile, promettente e a volte piacevole, improvvisamente la rivolta come un calzino e la squadra diventa smidollata, svogliata e senza mordente. Una macchina anomala, che sembra ogni volta dimenticare di innestare la quarta e poi la quinta una volta prodotta un’accelerazione, talvolta sorprendente.
In campo scende sempre la squadra
Eppure, Spalletti sembrava riuscito essere riuscito in quel miracolo di laboratorio che aveva dato vita ad una serie di exploit da tempo scordati. Invece è costretto ad ammettere che esistono carenze caratteriali, debolezze davanti a contrarietà assolutamente plausibili nel corso di un campionato. Spalletti è, e rimane comunque ottimo allenatore, ma è sempre la squadra che va in campo, come la Roma che allenava l’anno scorso e lo Zenit due anni prima. Squadra, la Roma, che ha staccato l’Inter di decine di punti in classifica, che aveva un gioco prodotto da un organico con 5-6 ottimi elementi, non fenomeni. Ma quei 5-6, e vogliamo includere anche Totti, si chiamavano De Rossi, Naingolan, Salah, Florenzi, Dzeko, e avevano il carisma ed il carattere necessario per trascinare anche gli altri 5-6. Questo evitava depressioni e debolezze di qualche prestazione balorda che poteva compromettere la reattività del gruppo, innescando il virus malefico della rassegnazione.
Quel Milan di Sacchi, Van Basten e Gullit…
Come ho sempre sostenuto, è necessario che in una squadra giochino almeno 2-3 veri top player, se non un fenomeno assoluto, per garantire l’effetto domino positivo. La Juventus li ha da 6 scudetti, il Napoli ci è molto vicino. E ricordo nel tempo la fulminea metamorfosi del Milan all’inizio dell’era Sacchi: arrivarono assi già consolidati come Gullit, Van Basten, Rijkaard. I tre “tulipani” fecero letteralmente irruzione in una squadra allora di medio livello, portando fiducia, entusiasmo e allegria in campo e nello spogliatoio. Sull’onda dell’energia e della velocità offensiva sprigionata dai 3 olandesi, diventarono grandi giocatori anche gente come Tassotti, Evani, Costacurta. Il modulo di gioco impostato da Sacchi fece poi il resto, centrando la formula vincente per quella squadra. Ma successivamente, non ricordo nuovi miracoli di Sacchi allenatore in altre squadre, inclusa quella azzurra. Sacchi visse al Milan le sue stagioni d’oro perchè aveva 3 diamanti. Finchè l’Inter non troverà una simile solida maggioranza di “governo” in campo, il salto di qualità rimane una speranza. Sarà lei l’ultima a morire, ma preceduta da qualche tifoso che potrebbe nel frattempo diventare centenario senza rivedere un triplete.