La lezione di Davide Astori

La lezione di Davide

E’ dalle 11.55 di domenica, quando si è diffusa la notizia della morte di Davide Astori, 31 anni capitano della Fiorentina, che anche chi ha sempre seguito poco o niente il calcio si è stretto intorno al mondo di Eupalla. Lo si può vedere aprendo, in un’ora a caso e su un profilo a caso, Facebook. Ma lo si può constatare anche nella vita di tutti i giorni: “Sai, mi dispiace: mi sono informata, ho letto di lui. Che bel ragazzo… Ha persino giocato in Nazionale?” sono state le parole della mia compagna che, ancora oggi, non sa in quanti si gioca a pallone e cosa sia il fuorigioco.

Nessuna polemica davanti alla morte

Tralasciando le polemiche – si doveva giocare o meno -, tralasciando le parole vuote di Dani Alves – il bel tacere non fu mai scritto, vero? – c’è una lezione che, sommessamente, mi piacerebbe far emergere. Il calcio è unione. E l’applauso dei 6.000 tifosi della Fiorentina che, questa mattina hanno affollato la piazza di Santa Croce, alla delegazione della Juventus ne sono la più fulgida testimonianza. La lezione di Davide parte da qui. Il calcio italiano, anche nella storia recente, si è macchiato di episodi che definire osceni e far loro un complimento. Dai cori contro Giacinto Facchetti a quelli che inneggiano all’Heysel. Dagli striscioni di discriminazione razziale fino ai cori razzisti solo perché qualche giocatore ha il colore della pelle diversa da qualche “pseudotifoso” che sta in una curva. Basta. E’ il tempo di maturare. E’ il tempo di crescere. Perché quegli applausi sono un messaggio di speranza: i tifosi italiani, noi tifosi italiani sappiamo essere migliori.

Cambiare dalle fondamenta per un calcio migliore

Lo sfottò è l’anima del calcio, l’insulto è l’anima degli ignoranti. Impariamo a distinguerci. Facciamolo per Davide. Perché, fra una decina di anni, saremo in grado di dire con orgoglio a sua figlia Vittoria che siamo andati oltre al “pulirci la coscienza” fermando una giornata di campionato. Dopo la sua morte, grazie alla sua lezione, siamo maturati come tifosi. E soprattutto come uomini.
> è stato detto durante l’omelia. Che non siano parole vuote. Il calcio italiano dev’essere riformato in tutto. Ecco. Partiamo dalle fondamenta. Dai tifosi. Da noi tifosi.

Matteo Gardelli