Moggi, cosa diremo ai nostri figli?
Qualcuno, un tempo, ha scritto che la reale statura di una persona la si misura anche dal modo con cui indossa le sue ferite. Luciano Moggi è uno che di ferite se ne intende: d’altronde ne ha inferte tante al sistema calcio e la vicenda Calciopoli – piaccia o meno a chi cerca e cercherà di riscrivere la storia – è lì a ricordarcelo. Luciano Moggi, ex direttore generale della Juventus, è stato infatti radiato. E la radiazione dovrebbe significare silenzio. Ma si sa: il bel tacer non fu mai scritto. Così il radiato continua a parlare e qualcuno gli offre pure una tribuna nazionale, una ribalta da cui lanciare i suoi anatemi.
Non può funzionare così, neanche se una Corte d’Appello sentenzia che non ha diffamato la memoria di Giacinto Facchetti. Moggi può proseguire all’infinito con lo spargere rabbia sui media. Dal suo punto di vista fa bene a farlo, finché trova chi gli dà fiato e chi lo ascolta con le orecchie chiuse dal cerume di un tifo esasperato. Ma nel sentire le sue parole occorre avere chiaro un concetto: non sono solo i giudici ad averlo sconfitto, è la storia del calcio italiano che lo ha espulso.
Non c’è nessuno spazio per il revisionismo, non c’è una verità diversa da quella che portò la Juventus in Serie B e alla revoca degli scudetti. Luciano Moggi è solo una parte del problema, l’altra è rappresentata dalla ignavia del sistema, dalla sua ipocrisia, dalla sua debolezza. La stessa che non riesce a far rispettare ad una società l’albo d’oro dei titoli, permettendole di esibirne più del dovuto e fomentando le risa divertite degli osservatori stranieri.
La stessa ipocrisia che sospende un campionato in segno di omaggio ad un ragazzo morto, Davide Astori. Quel giorno tutti sbraitarono perché “bisognava dare il buon esempio alla piccola figlia”. Fu, come sempre, una commedia all’italiana: si sospese il campionato, ci si pulì la coscienza e dopo qualche giorno la solita melma.
Che senso ha quel dolore così diffuso e condiviso se dall’altro lato della barricata c’è chi si può permettere di sputare su 30 sentenze? Chi e come potrà spiegare ai giovani che la maglia divide ma il pallone unisce se poi il disprezzo per le regole tocca queste punte? Il calcio rifletta: a niente sarà valsa l’esclusione dal Mondiale, a niente varrà il prestigio di un nuovo Commissario Tecnico, niente potrà portare il rinnovamento tanto auspicato dentro la FIGC se prima non si affrontano e si risolvono problemi come questo. Che sembrano poca cosa, ma danno il senso alla credibilità, alla trasparenza, alle fondamenta morali dell’intero edificio. Girare la testa dall’altra parte ancora una volta non sarà più solo una colpa grave. E nessuno si dovrà sentire escluso.