Il dramma sportivo del Santiago Bernabeu e l’autolesionismo rabbioso del dopo gara da parte di Gianluigi Buffon, della squadra e della dirigenza bianconera sono già stati raccontati da molti. Al di là del campanilismo del tifo, vorremmo tentare di leggere lo show juventino a Madrid in un’altra chiave. Un modesto tentativo di riflettere e far riflettere su quanto accaduto. Da mercoledì sera la Juve potrebbe non essere un problema solo italiano ma potrebbe sconfinare e, quindi, tracimare in tutta Europa. Chi segue dall’estero le vicende del calcio del bel Paese sarà rimasto di sasso nel vedere quanto accaduto.
Non noi, modesti calciofili di questa terra meravigliosa baciata da Dio, quello vero, non quello del calcio che se ne sta prudentemente lontano. Noi abitiamo in un Paese dove questa società, da anni, si fregia pubblicamente di titoli che la giustizia sportiva gli ha sottratto senza che nessuno intervenga. Noi che siamo costretti periodicamente a leggere ed ascoltare su media le parole arroganti e sprezzanti di un ultraottantenne radiato dal mondo del calcio italiano. Noialtri che quasi tutte le domeniche ci sorbiamo una sintesi delle polemiche cha da mercoledì stanno attraversando il mondo del calcio.
C’è una differenza, pero’: che in Italia sono le avversarie della Juventus a proporle. Ecco. Se un sodalizio, o gli uomini che lo hanno rappresentato, si sentono impunemente autorizzati a tenere questi comportamenti dentro i propri confini è verosimile che, appena se ne presenti l’occasione, tentino di fare altrettanto in ogni dove.
Alla base ovviamente c’è un problema del calcio italiano, un macigno di fumosità che dagli anni di Calciopoli in poi non è mai stato rimosso. E se il calcio italiano è malato, se va alla deriva, l’origine della malattia va cercata anche altrove. Se gli stadi italiani sono semivuoti rispetto al resto d’Europa la ragione è da ricercare anche nella mancanza di credibilità del sistema, figlia di un vulnus patito in tanti anni da milioni di tifosi la cui unica risposta è stata quella di abbandonare gli spalti.
Il concetto di base è uno. Le regole ci sono ma non si applicano, o meglio si applicano ma in maniera diversa a seconda di chi sia la preda ed il predatore. Dando per conosciuto che il predatore in Italia ha quasi sempre la maglia bianconera, il gioco è fatto. E’ lo stesso messaggio, arrogante e perverso che le parole di Buffon e compagni hanno lanciato ieri sera a Madrid. “Noi siamo la Juve, non conta se il rigore c’è o meno, il criterio di valutazione deve essere altro”. E’ questo il messaggio che si vuole mandare.
Di fronte a questa possibile intossicazione del calcio continentale i vertici Uefa potrebbero avere due possibili risposte. La prima mutuata dal calcio italiano protesa al mantenimento dello status quo nell’interesse di tutti o quasi. Non ci stupirebbe che accadesse ciò. Saremmo piuttosto meravigliati che questo atteggiamento fosse passivamente accettato da Florentino Peres o da Rummenigge, da Bartomeu o da Glazer o dagli sceicchi del Manchester City. Loro si sono scelti Agnelli come presidente dell’Eca, loro saranno chiamati a prendere provvedimenti.
La seconda possibile risposta è invece l’assunzione da parte dell’Uefa di robusti anticorpi a questi veleni, e l’ immediata formalizzazione di provvedimenti punitivi esemplari che stabiliscano che ciò che vale in Italia non è permesso a Nyon. Per essere chiari fino in fondo: in gioco non c’è semplicemente una semifinale di Champions o il prestigio di un arbitro o di un designatore.
La posta è ben più alta: l’immagine dell’intero calcio continentale, la sua credibilità, la difesa di un gioco e di un evento che non può e non deve essere compromesso dall’interesse particolare di un club o di singolo giocatore, per quanto prestigiosi possano essere. Mr Ceferin ed il suo staff hanno in mano le sorti “politiche” del calcio europeo. Sta a loro dimostrare di voler evitare di essere intossicati.