GdS, Adebayor si racconta: Mourinho il migliore ma non solo
Indice dei contenuti
1 Adebayor a tutto campo1.1 Punto di riferimento1.2 La carriera1.3 Vicino al MilanAdebayor a tutto campo
Emmanuel Adebayor, attaccante ora in forza al Basaksehir, si racconta sulle pagine della Gazzeta dello Sport e svela tanti retroscena sulla sua carriera. Vari i temi trattati e non mancano le opinioni su due ex allenatori nerazzurri, quali Jose Mourinho e Roberto Mancini. Queste le parole dell’intera intervista:
Punto di riferimento
Felice ed entusiasta, sempre e comunque. Si definisce “entertainer, showman”, nello spogliatoio è lui il protagonista. Scherza e tiene alto l’umore, anche quando le cose non vanno. Gli viene naturale, ce l’ha dentro. In fin dei conti questa è la metafora di una vita che gli ha dato molto, ma che avrebbe potuto togliergli tutto: “In passato pensai al suicido, ma la mia storia può insegnare qualcosa. Bisogna essere felici ogni giorno”. Nonostante il rapporto con i propri cari, forse irrecuperabile: “Tre anni fa la mia lettera via Facebook in cui spiegai tanti aspetti della mia privata e i vari momenti che poi crearono questo distacco dai miei familiari. Da allora nulla è cambiato. Voglio essere trattato per ciò che sono come persona”. La famiglia, appunto. Negli anni diventata ancor più fragile con le perdite di Shadrach e Peter, padre e fratello. Argomenti delicati che tratterà a fine intervista, immaginando di aver davanti sua madre Hajia, la causa di mille problemi. Qui a Istanbul lo chiamano “The King”, “ma io preferisco ‘Manu’, semplicemente”.
Leggenda del calcio africano, oggi Emmanuel Adebayor è il punto di riferimento del Basaksehir, l’ultimo capitolo di una carriera che lo ha visto protagonista, tra le altre, con Monaco, Arsenal, Manchester City, Real Madrid e Tottenham: “Squadre incredibili, allenatori importanti e compagni fenomenali: come potrei non essere soddisfatto?”. Personaggio spesso sotto i riflettori, dietro a quel look pittoresco c’è un ragazzo sensibile che vuole essere un esempio, soprattutto per un popolo che avrà sempre bisogno di lui: “I giovani devono avere possibilità di scelta. A fine carriera tornerò a casa, nel mio Togo, per dare il mio contributo. Servono più scuole e accademie. E ai bambini dico questo: il calcio è un sogno che deve essere protetto, ma non facile da realizzare: si può diventare dottori, informatici e tanto altro. Lo studio è fondamentale, ogni famiglia deve capirlo”.
La carriera
Partito da lontano, è arrivato lontanissimo.
“Ho vestito maglie leggendarie, ma la mia storia non assolutamente finita. A Istanbul va alla grande, ogni giorno è una festa per me. Posso giocare il mio calcio e mi sento un ventenne, anche se purtroppo gli anni sono 34 (ride, ndr)”.
BaÅakÅehir vuol dire ambizione per colmare il gap con le altre big.
“Esattamente. È una società giovane, nata nel 1990. Proprio per questo c’è grande voglia di crescere anno dopo anno. E i risultati lo dimostrano. Non siamo il tipico club turco, ma una grande famiglia con un feeling bellissimo tra proprietà, squadra e tifosi”.
In quattro per il titolo: che bagarre in Super Lig.
“Ma dobbiamo pensare solo a noi stessi. È normale avere degli alti e bassi nell’arco di una stagione, ma quanto fatto finora è un qualcosa di incredibile. Dopo il k.o. con il Galatasaray siamo ripartiti subito (vittoria contro il Kayserispor, ndr) e siamo ancora lì, in alto. La rosa è forte e con tanti giocatori importanti, tutti pronti a giocarsela fino alla fine. Personalmente, punto al primo campionato in carriera. Riuscirci qui sarebbe eccezionale”.
Facile pensare a un Adebayor “esempio” per i compagni.
“Si diceva anche altrove, come al Crystal Palace e in Nazionale. Non vorrei mai deludere le aspettative. Lavoro al massimo, faccio palestra dopo l’allenamento e non rinuncio al pilates 2-3 volte a settimana. Una vita sana è tutto per un atleta. Cristiano Ronaldo lo ripeteva sempre: ‘L’unico modo per raggiungere i propri obiettivi è il lavoro, solo il lavoro'”.
Il torneo turco appare in crescita.
“Dopo i primi match (a Istanbul da gennaio 2017, ndr) nutrivo dei dubbi sul livello, notavo il gap rispetto a Premier e Liga. Ma poi ho capito che la competitività è assoluta, si può vincere e perdere contro tutti. Sedute intense e i club crescono in tutto, in primis nella mentalità. Anche per questo la differenza con gli atri tornei sta diminuendo”.
Se potesse tornerebbe indietro? Magari a Londra, dove si sentiva invincibile.
“Il miglior Adebayor di sempre. Forte e motivato a lasciare il segno lontano dalla Francia. Con l’Arsenal realizzai un sogno, proprio a Londra dove passò Kanu, il mio grande idolo”.
Eppure i tifosi non le hanno mai perdonato l’esultanza con il City.
“Colpa di Wenger. Disse che lasciai per soldi, ma fui ceduto per necessità economiche. In ogni caso, anche grazie a lui sono diventato un calciatore importante. Mi ha insegnato tanto e aiutato, soprattutto all’inizio”.
È il miglior tecnico della sua carriera?
“No, Mourinho è il top. Un grande uomo che con la squadra crea un’empatia unica, ma non posso non citare Sherwood: al Tottenham fu un secondo padre per me. Adesso c’è Pochettino, uno dei migliori in Europa. Il suo futuro è scritto: in poco tempo lo vedremo sicuramente in qualche top club”.
Con Mancini, invece, il feeling mancò.
“Insieme al City, rapporto mai decollato. Non mi è mai piaciuto, sia come persona che come tecnico. Inoltre i suoi allenamenti erano tanto noiosi: quanta tattica…”.
In campo tante avventure con super campioni.
“Cristiano Ronaldo, Henry, Bergkamp, Kolo e Yayà Touré, Tevez, Vieira, Robinho… Solo per citarne alcuni. Tutti fenomeni, sarebbe impossibile scegliere”.
Vicino al MilanManu Adebayor, con la fascia da capitano del Togo dopo la sconfitta contro l’Algeria nel giugno 2017 nella Coppa d’Africa.Manu Adebayor, con la fascia da capitano del Togo dopo la sconfitta contro l’Algeria nel giugno 2017 nella Coppa d’Africa.Segue il calcio italiano?
“Ovviamente. Ultimi anni duri, soprattutto per Milan e Inter, ma ci stanno degli up&down. La A resta un riferimento. La Juve lotta sempre per la Champions, il Napoli gioca alla grande e la Roma sta facendo grandi cose in Europa. Poi io amo l’Italia. La Capitale è storia, anche se ho un debole per Milano. Città stupenda, anche per la moda! (Ride, ndr)”.
Milano vuol dire Milan: un club che ha solo sfiorato.
“Era fatta nel 2008. Mi sarebbe piaciuto giocare con leggende come Maldini, Pirlo, Kakà e Inzaghi. Inoltre con Ancelotti in panchina. Ma nessun rammarico, giusto rimanere all’Arsenal: lì giocavo il mio football e Londra è parte di me”.
Fuori dal campo la descrivono come un «pazzo».
“Sono un bravo ragazzo che ama ridere e far ridere. Mi piace vedere il sorriso sul viso delle persone, forse anche per questo mi considerano una sorta di showman”.
Ma anche autoritario, come dimostrato tante volte con la sua Nazionale.
“Dopo l’eliminazione da Sudafrica 2013 volevo pagare un jet privato per tornare tutti insieme direttamente a casa, senza perdere tempo con vari scali. La Federazione riscontrò dei problemi organizzativi e c’era un ritardo assurdo”.
Nel 2010, in Angola, il capitolo più brutto della vostra storia.
“Tante volte ho pensato a quell’attacco al nostro pullman, avrebbero potuto colpire anche me (morirono vice-allenatore, addetto stampa e autista, ndr). Ma la vita deve andare avanti e tutti insieme ci siamo fatti forza”.
Cosa farà dopo il calcio?
“Tornerò a casa, in Togo. Vorrei creare una certa mentalità e condividere con la mia gente ciò che ho imparato nel corso della mia carriera. L’Africa è un posto meraviglioso, ma c’è ancora tanto da fare. Sogno la pace e tante opportunità che purtroppo mancano, ancora oggi”.
Se avesse di fronte sua madre, cosa le direbbe?
“Nulla di particolare, mi ha deluso. Una famiglia deve essere una vera famiglia. Ed è quello che voglio, io per loro ci sono sempre stato. Non contano soldi e contratti, ma Emmanuel. Solo Emmanuel. Per sistemare le cose servirà tempo”.
Parole delicate, che pronuncia sempre e comunque con il sorriso. Il leitmotiv della sua vita: “Perché ogni giorno è un’occasione per essere felici”