Esquire, Spalletti tieni stretto il talento brasiliano
Una sorta di lettera aperta di Fabrizio Biasin, scritta per Esquire, alla società riguardante il riscatto di Rafinha.
Rafinha è entrato in sordina e tra mille dubbi nello spogliatoio nerazzurro, ora dopo averlo visto giocare e sentito parlare è fragorosamente entrato nei cuori di tutti i tifosi interisti. La sua è una storia complicata, sul più bello il suo ginocchio ha fatto “crack”, ma lui è stato caparbio nel sapersi rialzare. Ha accettato la sfida Inter, il pubblico l’ha saputo accogliere come se giocasse a San Siro da anni, sia per talento sia per i modi. Sì perchè Rafa, lo ha messo in chiaro, lui ama l’Inter, e tutto ciò non può passare inosservato. Al momento del suo primo gol in maglia nerazzurra è esplose, letteralmente, un misto tra gioia e “vendetta”, nell’accezione giusta del termine, verso le sfortune che lo hanno perseguitato. Il brasiliano è l’uomo giusto al momento giusto, ha saputo rialzare una squadra sull’orlo del baratro, lui che ha esperienza internazionale e qualità da vendere. Rafinha è l’uomo della provvidenza. Un pò come nei film, quando si tifa per quello più sfortunato. L’anatroccolo ora è diventato cigno e mano nella mano sta conducendo l’Inter alla qualificazione alla prossima Champions League.
La lettera di Biasin
“Non è facile essere Rafael Alcântara do Nascimento (per gli amici Rafinha), giocatore talentuoso. Voi direte “Peggio fare il minatore o l’uomo sandwich” e avete tutte le ragioni, ma è un paragone che non calza.
Non è facile essere Rafinha Alcantara perché come ti muovi, ti tocca il paragone. Esci dalla pancia di mamma Valeria (pallavolista professionista) e scopri che tuo padre è calciatore di livello, si chiama Mazinho, e tu sarai sempre “figlio di…”. Arrivi a casa dalla clinica e fai conoscenza con tuo fratello Thiago, papà ti guarda e dice: “Thiago ha già due anni, tu sei appena nato: ti tocca inseguire”.
Accetti la sfida. A 12 anni finisci nella cantera del Barcellona, dove c’è da sgomitare. Dopo 6 anni ti spediscono nel Barcellona B, ma hai carattere, sgomiti di nuovo e a fine anno fai l’esordio con i grandi, in Champions League, contro il Bate Borisov. È il 2011, ma ti chiami Rafinha e davvero non è facile: per due anni guardi gli altri e nel 2013 ti spediscono in prestito, al Celta Vigo. Negli stessi giorni tuo fratello vince l’Europeo Under 21 con la Spagna e finisce al Bayern di Monaco, non proprio la stessa cosa.
Ma le rotture di balle sono appena cominciate.
Non è facile essere Rafinha perché nel 2014 torni dal prestito con il Celta, cominci a diventare una pedina importante del Barcellona, vinci campionato e Coppa del Re (da comprimario) e proprio quando inizia la stagione che per tutti sarà “quella della consacrazione”, capisci che il destino è una brutta bestia: il 16 settembre 2015 ti spacchi il crociato anteriore del ginocchio destro in un match di Champions League contro la Roma, l’anno dopo tocca al menisco e lo stop (lunghissimo) ti fa pensare che, forse, il dio del calcio non ti vuole bene.
Non è facile essere Rafinha perché in un attimo ti accorgi di essere un “pacco”. Un pacco costoso, però. A inizio 2018 il Barcellona decide di venderti all’Inter, la formula è quella del prestito gratuito con diritto di riscatto fissato a 35 milioni + 3 di bonus. Quando arrivi a Milano è il 22 gennaio. Pochissimi credono in “quello lì” che per gli avversari è “lo zoppo costato zero euro che entrerà in forma a campionato finito”. Lui se ne fotte, perché altro non può fare, e perché in fondo non sa se il ginocchio reggerà. Anche Spalletti si fida poco. Dice: “Dobbiamo aspettare, ci vuole tempo, dobbiamo aiutarlo” e altre cose che in qualche modo fanno capire il senso dei suoi ragionamenti. La traduzione più o meno è: “Se avessimo avuto quattro soldi da spendere, colcazzo avremmo puntato su di lui”. Ma, l’Inter, soldi da spendere non ne ha e, quindi, “o mangia questa minestra, o salta dalla finestra”.
L’Inter mangia la “minestra Rafinha” e quel giorno si realizza la tipica cosa da film stucchevole. Avete presente? Un tizio sfortunato incontra una squadra sfortunata e “meno per meno fa più” con tutte le cazzate annesse e connesse. Solo che questo non è un film e, quindi, il “meno per meno che fa più” non te lo aspetti, quantomeno non da subito.
E infatti all’inizio non son mica rose e fiori. Spalletti ci mette un po’ a inserire il suo gioiello di cristallo, si fida ma non del tutto: gli serve come il pane per cambiare il gioco offensivo di una squadra che si è fatta prevedibile, ma qualcosa gli dice di aspettare. Rafinha aspetta il suo turno e si allena con voglia, motivato nelle sue intenzioni dall’amico Icardi, compagno ai tempi della cantera blaugrana. Il Barcellona non ha creduto in Icardi e probabilmente non crede neppure in Rafinha. Ci crede invece l’Inter che a uno ha dato la fascia da capitano (ben ricambiata) e all’altro dopo il rodaggio affida con decisione le chiavi del gioco.
Il resto è storia recente, quella di una squadra che si è messa a giocare, quella dello spogliatoio interista che a febbraio per i più era “rotto” e in realtà non è mai stato così unito dai tempi del triplete. Oggi l’Inter insegue il suo obiettivo con la bava alla bocca, lo fa con tutti i suoi giocatori: quelli dotati, quelli meno dotati, quelli stanchi, gli ex bulli incazzati e i “talentuosi di cristallo” come Rafinha Alcantara, giocatore sfortunato ma con attributi cubici.
Non è facile essere Rafinha perché al minuto 43’ di Udinese-Inter realizzi il tuo primo gol in nerazzurro, esulti come fossi posseduto dallo spirito di Nicola Berti e dici senza giri di parole “ho trovato la mia dimensione, voglio rimanere qui. La mia testa è all’Inter. Spero che arriveremo alla Champions League. I tifosi mi amano? Anche io amo l’Inter”. E il tutto sa un po’ di Libro Cuore pallonaro, ma soprattutto suona come un avviso ai naviganti: “Inter, Spalletti, non rinunciate a me: anche se costo tanto, anche c’è il fairplay finanziario, anche se non sono il fratello giusto, anche se ce ne sono di più forti”.
Inter e Rafinha si sono trovati come il pane e il burro e il pane & burro una volta che sono insieme mica li puoi separare, ché altrimenti rovini l’uno e butti via l’altro.
Pensaci, Inter.”
Fonte: Esquire