Zanetti: mito, lacrime… e gelati
Quello vero è quello della volata nel derby del maggio 2012, quel coast to coast a pochi minuti dalla fine che fece balzare in piedi uno stadio e l’intera platea televisiva. Zanetti conquistò il corner, poi si appoggiò ai tabelloni pubblicitari pensando come Forrest Gump “forse sono un po’ stanchino”. 20 secondi dopo era di nuovo a rullare i rossoneri in mezzo al campo.
Quello vero è quello dello stoppone a Leo Messi proiettato verso Julio Cesar nella semifinale d’andata con il Barca. Neanche un gol ebbe l’ovazione di quel momento. Lui si accomodò il ciuffo e si guardò intorno pensando che in fondo non aveva fatto niente di eccezionale.
E poi c’è quello un po’più vero di tutti gli altri, quello che piange in mezzo al Bernabeu mentre abbraccia anche il giardiniere catalano. E quello che poco dopo viene immortalato con quegli Orecchioni sulla testa e gli occhi stravolti dalla gioia di poter fare quello che Giacinto gli avrebbe chiesto, quello che gli aveva chiesto Massimo Moratti, quello che gli chiedeva fino a due ore un popolo trepidante.
E’ quest’ ultimo quello che ci frega sempre, tutte le volte che ci capita di rivedere quelle immagini, diventate una sorta di doping televisivo della memoria in questi anni di delusioni. Ci frega perché piange lui e i lacrimoni si affacciano anche per noi, nemmeno l’avessimo vinta noi quella coppa. Ma è come se l’avesse vinta anche ciascuno di noi, dopo una traversata nel deserto durata 45 anni. E le mogli ridono, sorridono pensando tra loro “ma guarda come si deve ridurre per l’Inter questo…”.
Sembrava eterno, sembrava un Big Jim nerazzurro indistruttibile. Quando il tendine d’Achille fece crack nel 2013 tutti pensarono al ritiro forzato. Non lo conoscevano. Uno così si ritira col pallone tra i piedi, non con un piede come un pallone. Quel giorno arrivò nonostante tutto, quattro anni fa, fra lacrime sincere e overdose di orgoglio. Anche i miti vanno in pensione.
Poi venne quel maledetto gelato. Quella coppetta che sgocciolava sugli spalti di Marassi mentre Goran Pandev ci infiocchettava come un regaluccio da due lire. Per noi poveri mortali i miti non mangiano gelati, i miti si alimentano di leggenda, di epopee. Qualcuno ha mai visto Tex Willer mangiarsi un Calippo? Ci aveva abituato male il capitano, ce ne aveva fatte vivere troppe nei suoi lunghi anni nerazzurri.
Quel gelato che ha fatto incazzare tanti, sottoscritto compreso, era invece il suo modo per dirci “ehi, raga sono uno dei vostri, sono un terrestre anch’io, soffro come voi ora in tribuna, come tanti di voi…”. Non lo abbiamo capito in quel momento, accecati dalla passione e dallo sconforto, perché eravamo abituati a vedere Zanetti mangiare gli avversari, non i sorbetti. Erano Gattuso e Marchisio a squagliarsi davanti a lui, erano gli altri a restare con lo stecco in mano.
Eravamo abituati così perché lui ci aveva abituati così. In giacca e cravatta fa la sua bella figura non c’è che dire. Ma per noi sarà sempre quel trattore con due cosce così, che annaffiava San Siro con il suo sudore e il suo amore per il nerazzurro. Mentre il cielo era squassato dall’urlo della sua gente “un capitano, c’è solo un capitano…”.