Vienna, 27 maggio 1964: l’orologio della storia segna l’ora dell’Inter
Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, Corso. Il 27 maggio 1964 al Prater di Vienna il Real Madrid non festeggiò come ieri a Kiev, anzi. I madrileni vanno giustamente fieri delle 13 Champions conquistate su 16 finali disputate. Ecco, una delle tre occasioni in cui dovettero guardare la premiazione degli avversari fu proprio questa. Lo squadrone di Puskas e Di Stefano dovette inchinarsi di fronte alla freschezza, alla organizzazione tattica, alla fame di vittorie della banda di Helenio Herrera.
Non c’erano gironi nella Coppa dei Campioni di allora. Si partiva dai sedicesimi di finale nei quali l’Inter fece fuori l’Everton. Poi anche Monaco, Partizan Belgrado e Borussia Dortmund dovettero inchinarsi ai nerazzurri.
La prima finale europea dell’Inter si giocò in uno stadio gremito da tifosi nerazzurri ansiosi di entrare nella storia. Ancora più ansioso era Angelo Moratti, che stava realizzando il sogno di una vita. E gli stessi giocatori erano sopraffatti dall’emozione.
Sandro Mazzola aveva 22 anni, era un lattante in confronto ai mostri sacri del Real Madrid che avevano già vinto tutto. Sandrino ha raccontato più di una volta di essere rimasto imbambolato alla vista del Real. “Facemmo riscaldamento con poca illuminazione, c’erano delle lampadine, e lì vidi Di Stefano che per me era alto due metri. Calcolate che senza tv si andava all’osteria a vedere le partite. Suarez mi picchiò sulla spalla per dirmi: ‘Noi andiamo a giocare la finale, tu resti qui a guardare Alfredo?” L’emozione passò presto a Mazzola, presto e bene. Talmente bene che fu lui a spaccare la partita con due gol fantastici. Le telecronache di allora fanno venire i brividi sentendo Carosio annunciare con la sobrietà del tempo i gol di Mazzolino. Il 3-1 finale, suggellato dal gol di Milani e da quello del blancos Felo, fu il primo ciack di un film da Oscar. Protagonista assoluta quella squadra che da lì agli anni successivi avrebbe segnato la storia del calcio.
Quando si scrive o si legge che la Champions è l’ambiente naturale, la casa dell’Inter, si fa riferimento a questa squadra che gettò le fondamenta di questa storia meravigliosa. Ci furono poi lunghi anni di oblio. Troppi, 45 anni di attesa per chi aveva vissuto quei momenti. Ma quando fu il momento, non arrivò una vittoria “normale”, no, all’Inter la normalità è sconosciuta.
Arrivò il Triplete, come premio per quella traversata nel deserto durata oltre quattro decenni. La Champions in casa Inter è qualcosa di speciale. Spalletti lo ha capito. Chi vestirà la maglia nerazzurra a metà settembre di 54 anni dopo, dopo altri sei anni attesa, avrà l’obbligo di conoscere queste storie. E quando sentiremo quella musichetta che tanto è mancata, la mente di tutti i tifosi non potrà che ritornare con la mente alla filastrocca più bella “Sarti, Burgnich Facchetti…”