Inter: lasciò i nerazzurri per due palanche, oggi incanta al mondiale

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1 Inter, Coutinho grande rimpianto2 Arriva nel dopo triplete3 Vai e vieni, tra i primi segnali della crisi3.1 Ai Reds per la plusvalenzaInter, Coutinho grande rimpianto

(Inter)“Era nostro l’abbiamo mandato via per due palanche e ora…” Dopo la partita d’esordio del Brasile il rammarico dei tifosi potrebbe provocare più di un mancamento. Vedere Philippe Coutinho inventare un gol da favola in una gara del mondiale scuote una volta di più le corde della gente nerazzurra che aveva visto in quel ragazzino i segni tipici del campione.
Ma quando arrivò a San Siro l’Inter e gli interisti erano ancora ubriachi di Triplete.

Quell’estate era segnata dagli eroi del Bernabei che, a turno, bussavano a pecunia alla porta di Massimo Moratti. Un papà al settimo cielo che non negò un ritocco contrattuale a nessuno, negli occhi aveva ancora la gioia della festa e non i colori grigi dei bilanci.

Arriva nel dopo triplete

Mourinho lasciava l’Inter in lacrime, arrivava Benitez, spagnolo orgoglioso e presuntuoso, che non si attirò certo le simpatie dei senatori, il gruppo di giocatori con personalità e attributi tali da mettere in crisi il più navigato dei manager. Coutinho arrivò all’Inter in questi mesi, con questo ambiente. Chi lo dimentica compie un errore. Non ancora 19enne fece si un tunnel a Materazzi al primo pallone toccato in allenamento ma gli spazi per lui erano davvero stretti.

Quando giocava si vedeva che i numeri c’erano tutti, lo capirono presto compagni di squadra e tifosi. E non c’è da dire che fosse un corpo estraneo alla squadra dei miti, anzi. Gli eroi del Bernabeu si coccolavano questo ragazzino imberbe e dal fisico ancora acerbo proprio perché vedevano e capivano il suo talento fuori dal comune.

Resta nella memoria di molti una gara del girone iniziale della Champions del 2011, quella con il Werder Brema. Alla mezz’ora del primo tempo, due colpi di Eto’o e uno di Snejider avevano già messo il risultato in frigo. Da lì in poi si giocò solo con uno scopo, far segnare Coutinho. San Siro lo spingeva come si sospinge il passeggino di un figlio in una bella giornata primaverile, i compagni lo cercavano da tutte le parti. Ebbe un’occasione fantastica e due mezze occasioni Coutinho, ma non era ancora arrivato il suo momento.

Vai e vieni, tra i primi segnali della crisi

Arrivarono gli infortuni, poi il prestito all’Espanyol ed il successivo rientro a Milano dopo una esperienza più che positiva in Spagna. Nell’estate 2012 tornò per giocare ma un infortunio lo fermò subito al palo. Mentre lui aspettava, arrivavano le prime avvisaglie della tempesta finanziaria che avrebbe portato Moratti a cedere l’Inter a Thohir da lì a poco.

Si affacciava alla Pinetina un altro giovane talento Mateo Kovacic, mentre i senatori iniziavano a lasciare l’Inter uno dopo l’altro perché la società aveva bisogno di sfoltire ed abbassare i costi. Come in un film dell’orrore salutarono Julio Cesar, Snejider, Eto’o, Motta ed arrivano al loro posto Schelotto, Kuzmanovic, Pereyra. Bravi ragazzi niente da dire, ma il confronto con chi li aveva preceduti era impietoso. Età avanzate e contratti stratosferici impedivano cessioni che avrebbero portato aria fresca alle casse nerazzurre. Un nome c’era, il suo, Coutinho. Non si parlava di centinaia di milioni ma di una buona plusvalenza che serviva come il pane (anche allora…).

Ai Reds per la plusvalenza

Il Liverpool piombò come una iena sull’animale ferito. Insieme a Massimo Moratti, sempre più deciso a mollare, c’erano Fassone DG, c’era ancora Branca Direttore dell’Area Tecnica e c’era già Ausilio come DS.

Se un rimprovero deve essere fatto è a loro tre che va rivolto, per un semplice motivo. Quello di non aver creduto fino in fondo nelle qualità di Coutinho, tanto da preferire i 13 milioni dei Reds ad un tentativo in extremis di trovare quei soldi da altre parti, salvaguardando un patrimonio del futuro.
Vedere oggi Coutinho strapagato per passare a Barcellona e idolo della Selecao fa male.

I tempi dell’Inter e quelli della sua crescita non sono andati di pari passo. Ma ai tanti tifosi che oggi alzano cori di scherno verso la società sarebbe da fare una domanda. A Liverpool Coutinho è arrivato, gli hanno messo sulle spalle la maglia numero 10 e l’hanno mandato in campo. Mandato e tenuto in campo, mentre sbagliava, mentre giocava partite al di sotto della sufficienza. In poche parole mentre cresceva. Gli spalti di San Siro avrebbero avuto la stessa pazienza? Si attendono risposte ben riflettute ed oneste…