(CdS) Sacchi un’istituzione nazionale nella gestione dello stress, l’intervista…

Indice dei contenuti

1 In materia di gestione dello stress e indigestione da ansia Arrigo Sacchi è un’istituzione internazionale.2 L’Intervista inizia da Messi e l’Argentina3 Momento Filosofico di riflessione4 Neymar e le lacrime5 Ronaldo ottimo modo di gestire la tensione6 Dal Milan al primo anno con il Rimini7 Maradona e la NazionaleIn materia di gestione dello stress e indigestione da ansia Arrigo Sacchi è un’istituzione internazionale.

Il Corriere dello Sport in una lunga intervista condotta da Ivan Zazzaroni, evidenzia come Sacchi sia per eccezzione l’uomo che meglio sa gestire lo stress.

«Da qualche parte ho letto che lo stress è il cestino della vita moderna, “tutti noi generiamo scorie, ma se non le smaltiamo correttamente si accumulano e superano la nostra vita”.

Ma lo stress può anche essere un valore, se lo si riesce a controllare. Non credo di essere il solo allenatore ad aver tribolato per le pressioni, le tensioni, le aspettative generate dal calcio.

Di Liedholm si diceva che fosse un freddo. Un giorno gli applicarono il cardiofrequenzimetro e se non gliel’avessero tolto dopo il primo tempo l’avrebbe fatto esplodere. Ci sono quelli che riescono a mascherare e quelli che non ce la possono fare neppure volendo».

L’Intervista inizia da Messi e l’Argentina

Ad esempio Messi, per restare all’attualità: trascuro le crisi di vomito del 2016 e mi soffermo sul momento dell’inno di Argentina-Croazia, quella mano appoggiata alla fronte, lo sguardo assente. «Mi ha commosso. Quella scena indicava una crisi e annunciava il disastro, era una resa dichiarata».

Arrigo, ti credo, ma neanche la sensibilità del tecnico più acuto può arrivare a capire tutto in un frammento di secondo. «Semifinale col Real, giochiamo al Bernabeu, Gullit c’era già stato.

Gli dico: piazzati all’uscita della scaletta che porta al campo e guarda gli avversari negli occhi, poi dimmi quanti ti hanno sfidato. Ruud li fa sfilare tutti e undici, viene da me e mi spiega che soltanto uno non aveva abbassato lo sguardo.

In quel momento ho capito che avremmo vinto. Lo stress può essere amico ma anche nemico imbattibile.

L’esperienza accumulata, gli anni, le cose provate più volte spesso non bastano. E non c’è maxi stipendio capace di creare anticorpi. Uomini, siamo.

Non penso che il principe Carlo si innamori più di Maciò».

Momento Filosofico di riflessione

Chi è Maciò? «Chi era, è morto. Maciò era un personaggio di Fusignano. Rovistava nei cassonetti, ogni tanto gli davano un lavoro nei campi, ed era a suo modo un filosofo. Un giorno gli regalarono un coniglio lo scambiò con due polli.

Quando gli chiesero perché l’avesse fatto, dal momento che il coniglio è molto più buono del pollo, rispose che con i due polli avrebbe mangiato due volte».

Arrigo, ridendo, si lascia sopraffare dai ricordi, i più curiosi e cari, stimolato dalla vena felliniana.

«La Macìna, la moglie di Macìno ch’era il figlio di Maciò, scappò con i giostrai e Macìno li inseguì con l’Ape. Un bel giorno la Macìna si ritrovò con un figlio in grembo.

E mi fermo qui perché il finale è troppo volgare». Mi incuriosisci.

«Sarai mica matto! Se te lo racconto mi arrestano. Maciò, dicevo. Quando da semisconosciuto andai al Milan la stampa mi attaccò quasi con ferocia, a Fusignano incontrai Maciò che mi disse:

“Arrigo, ti sei seduto a un tavolo imbandito, pieno di cose buonissime, gli altri commensali avevano tutti un coltello sotto il tavolo, tu li hai fatti spostare creando un disturbo colossale…Ventisette anni di calcio, dal ’73 al ’99, li ho goduti e sofferti tutti.

A fine carriera andai da uno psicologo di Bologna, che mi disse il problema non è quello che lei fa ora, ma quello che ha fatto prima”.

Ricordi Enzo Maiorca, il re delle immersioni senza bombole? Io in apnea ci ho vissuto 27 anni».

Hai sposato la tensione. «Tante notti insonni, e dubbi. Terminata la sfida restava solo lo stress. Però ho fatto quello che volevo fare, le cose in cui credevo: non mi interessava la vittoria, ma il modo. E fu il modo a farmi apprezzare la conquista della prima Champions. Tutti vincono. O meglio, tanti, la differenza la fa il modo.

Il giorno dopo quella vittoria l’Equipe titolò: “Da questo momento il calcio non sarà più lo stesso”. Non partecipai alla festa, ero abituato a lasciare lo stadio uscendo dalla porta secondaria immaginando che un giorno mi avrebbero indicato proprio quella.

Tornai a Milano, presi l’auto e rientrai a Fusignano. La mattina seguente mi svegliai con un sapore dolce in bocca, non scorderò mai quella sensazione di piacere».

Neymar e le lacrime

Le lacrime di Neymar non ti hanno colpito? «Uno sfogo, è stato uno sfogo che lui ha spiegato. Vidi piangere Baresi dopo la finale di Pasadena, io non versai una lacrima perché avevamo lottato e loro, i brasiliani, ci erano stati superiori. Giusto che avessero vinto, il merito è bellezza, senza merito non c’è gusto.

Quando vincemmo 2-0 a Pescara non provai alcuna gioia, mi misi subito a pensare a cosa avremmo dovuto fare per migliorare».

Ronaldo ottimo modo di gestire la tensione

Cristiano Ronaldo la tensione la gestisce come nessuno. «Quando Carlo (Ancelotti, nda) allenava il Real mi fermai tre giorni da lui. Di solito il tecnico è il primo ad arrivare al campo, Ronaldo anticipava tutti, lo trovavi in palestra, sempre.

Ha detto una cosa importante: “Mi alimento bene, mi riposo bene, alleno l’intelligenza”. Io allenavo i neuroni, ogni partitella che di sputavamo a Milanello aveva delle regole che variavano di volta in volta.

Un giorno Van Basten mi scrisse “per favore, mister, possiamo giocare una partitella senza regole?”. E i neuroni chi li allena?, risposi.

L’emisfero di destra del cervello è quello della creatività che soltanto il pessimismo e la scarsa fiducia in sé stessi riescono a inibire. La creatività va stimolata. Per non andare in diffcoltà».

Dal Milan al primo anno con il Rimini

Arrigo fa una pausa, aneddoti e sensazioni si incrociano e si sovrappongono. «Ho incontrato più diffcoltà ad Alfonsine, Bellaria e al primo anno di Rimini che non al Milan. Al Milan non erano diffidenti».

A Rimini tanto, troppo. «Ero in corsa per quel posto con Tom Rosati, Angelillo, Domenghini e un altro. Marino Ferri di Stadio scrisse “si sussurra anche di un certo Sacchi, per favore non scherziamo, non facciamo certi nomi…”».

Capita, su: uomini e topiche. Hai smesso per stress a 55 anni. Oggi che ne hai settantadue te ne sei liberato? «Per molto tempo ho saputo gestirlo, me ne sono liberato, certo, adesso sono soltanto un po’ ansioso».

Maradona e la Nazionale

L’ex preparatore di Maradona, Signorini, ha scritto che Diego si drogava perché senza l’aiuto della coca non riusciva a reggere una vita da Maradona, mancandogli le basi culturali necessarie e una famiglia strutturata.

«So di allenatori che prima della partita si ubriacavano. Signorini ha torto. La coca non ha aiutato Diego, l’ha limitato, ne ha accelerato il declino.

Questa spiegazione è inaccettabile. Ciò che serve a valorizzare i talenti più puri e a renderli costanti sono l’applicazione, la disciplina, l’attenzione.

Bagni mi ha raccontato che nel Mondiale ’86 in Messico chiese a Bearzot di prendere in consegna Maradona poiché lo conosceva bene. In partita non lo vide mai.

Alla fine Salvatore chiese a Diego come avesse fatto e lui gli rispose che l’avevano tenuto segregato per un mese in ritiro… E comunque lo stress è anche una forma di resistenza e esalta la lucidità.

Europei del ’96, prima della partita il professor Zeppilli mi prova pressione e battito cardiaco, mi trova rilassato: potresti fare una passeggiata, dice.

Quella volta ho impiegato 10 minuti prima di decidere di sostituire Apolloni. In America, per cambiare Baggio, trenta secondi»