Sissignori, è il primo luglio. E, sissignori, i nostri eroi sono ancora tutti ad Appiano; poi, ovvio, qualcuno farà le valigie, non per andare in vacanza, e saluterà ma, in sostanza, l’apocalisse del… bisogna trovare 45 milioni di plusvalenze…è stata sventata.
L’Armageddon nerazzurro, spiace, non è ancora sopraggiunto. Magari arriverà, per la gioia di quei tifosi – ma si, dai, chiamiamoli così – che i cinesi hanno gli occhi a mandorla, non capiscono un cazzo di pallone, si tengono l’Inter per fare i fighi nei salotti buoni della Pechino che conta e la considerano alla stregua del giocattolino che oggi ti piace domani no; tradotto in soldoni Zhang verrebbe considerato un potente bambinone con il gusto dell’inutile. Non sa come spendere i suoi soldi – nemmeno pochi – perciò butta nel water 500 milioni di euro. Pensa i suoi amici: oh, quello è Zhang, dai, il tizio che ha spesso mezzo miliardo per nulla. Roba da inserire nel curriculum.
Bando alle ciance, giratela come volete, non spariremo ora. Non nel 2018.
Raccontano, coloro che ne capiscono – sembra, pare, si dice -, i conti societari iniziano a tornare; perché sì, cari i miei economisti – tutti con master al MIT di Boston – sappiate che il FFP esiste, non è una entità soprannaturale, un ologramma, e non si organizzano sedute spiritiche per evocarlo. Esiste purtroppo, geniale invenzione di gente che ha preso pure soldi per metterlo nero su bianco ed oggi pare aver leggermente cambiato idea. Perché così, strutturato in siffatta maniera, capite a me, l’arma che doveva diventare un deterrente per tutti i club poco attenti al denaro si sta trasformando in una sorta di circo, di spettacolino dove solo le cosiddette grandi società, quelle con fatturati importanti da 450 milioni a salire, si contendono i trofei più importanti; le altre un bel chissenefrega, stanno a guardare impotenti, subendo, dovendosi accontentare delle briciole e facendo mercato con una calcolatrice stile metà anni settanta in una mano. Altro che smartphone e tablet. E non fatevi fuorviare dal Liverpool (poi mazzolato) in finale – chiedere ai tifosi del Manchester City a riguardo-; così come dal Leicester campione d’Inghilterra. Li catalogherei più o meno a guisa di quegli episodi fortuiti che costellano la storia del pallone, da sempre rotondo.
Ciò che mi ha leggermente fastidiato in questo pentimento generalizzato è il non ricordare alzate di scudi e crisi di coscienza quando toccò all’Inter, o alla Roma, sottostare al volere di Nyon; allora il ritornello era sul genere…hai sbagliato? Devi pagare. Punto.
Vabbè, lasciamo perdere il passato e pensiamo a quanto accadrà, il futuro non sembra poi tanto nero.
Questo mese di giugno ci ha consegnato un nuovo supereroe nerazzurro, Ausilio Piero da Milano, quarantaseienne di belle speranze, di professione direttore sportivo. Schiacciato spesso e volentieri da forti personalità e quasi mai autonomo, bersaglio preferito di ogni genere d’insulto, appena ha visto davanti a sé non dico un’autostrada, ma almeno una provinciale, ha cacciato ogni genere di coniglio dal cilindro. Perché, è un dato di fatto e basta girare il web e saper leggere, il buon Piero è stato bollato da chiunque (o quasi) come inetto e poco capace. In verità tu provavi a spiegare: guardate, durante la gestione Mancini (adoro il Mancio ma provate a mettervi di traverso su quanto dice o suggerisce) Ausilio era una stregua di esecutore e poco altro; guardate, la storia di Kondogbia affonda le radici in altri personaggi; guardate, con l’arrivo di Suning la nuova proprietà si è affidata mani e piedi ad un signore col nome di un auto ed il cognome peggio di un codice fiscale e Piero nostro manco è stato considerato (sfugge il no di Piero e Zanetti all’accoppiata portoghese-brasiliana da 70 milioni di euro circa). No, nein, niet! Ad Ausilio mancava solo gli imputassero la pestilenza de “I Promessi Sposi” poi avevamo fatto bingo.
Ora, dire che il diesse non abbia mai sbagliato nulla è di per sé un errore, ma accusarlo anche del fatto che il vostro cane la fa per strada e vi siete dimenticati i guanti ed il sacchettino in anticamera per colpa sua mi sembra un po’ troppo esagerato. Ha sbagliato qualcosa in passato, sbaglierà qualcosa certamente anche nel futuro prossimo. In fondo tutti sbagliamo lavorando, fa parte del gioco e della vita (che puttanata di filosofia spicciola).
Se mi piace il mercato fino ad ora? Mi piace, mi piace. Casomai mi sono accorto di quanto sia cambiato l’approccio societario all’evento principe della stagione, quei due mesi che possono cambiare il destino di uomini e cose. Lavoro pazzesco per due parametri zero di spessore (de Vrij è forte vero e Asamoah fa l’esterno sinistro di ruolo, roba che non vedevo da anni), un ragazzino sul quale le lodi si sprecano in maniera bipartisan (forse sta a significare qualcosa), un guerriero che menestrabattoleballe se ha i tatuaggi e non si presenta alla folla in giacca e cravatta dopo un viaggio di sei ore in macchina (sinceramente me ne sarei fregato altamente pure se il viaggio fosse stato di un paio d’ore, ancor meno se Radja avesse dovuto limitarsi ad attraversare la strada) più un giovanotto venticinquenne che ha circumnavigato il globo per firmare il contratto col sorriso di un bambino a cui hai appena regalato un sogno.
Finita? No, non penso proprio.
Le priorità, i compiti delle vacanze, sono stati svolti con ottimi risultati; ora servono completamenti alla rosa. Attenzione, non personaggi di seconda fascia; completamenti, che significa altro. Vrsaljko, Florenzi, Dembélé, Carvalho (lui no Piero, lui non mi piace, che ti devo dire), una punta, un mister X che forse la Società vuole regalare ai tifosi, Rafinha (resta in cima ai miei pensieri). Spariamo nel mucchio, senza eccedere in trionfalismi, alla fine potrebbero pure portare sfiga. E mi interessa poco se in prestito con diritto, obbligo, se valgono i punti dell’Esselunga, i buoni pasto o i paghi due prendi tre; faccio il tifoso adesso, mica l’economista. Anche se un occhio, a ‘sto fottutissimo bilancio, dobbiamo continuare a darlo nostro malgrado.
Sì, dai, facciamo che stiamo tornando; a piccoli passi, i nostri sono cinesi e stanno sempre seduti sulla riva del fiume, non scordatevelo, ma stiamo tornando. È stata dura, un inferno, ma immaginiamo di essere stati puniti dalle divinità pallonare per aver vinto – unici tanto per cambiare – il triplete. Scontata la pena rieccoci.
Ricominciamo.