Segnali di vita al Dall’Ara
Mai vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso recita un vecchio adagio, uno di quelli tanto cari ai nostri nonni e che oggi non si usano più. Già, perché il signor Spalletti Luciano da Certaldo è passato in una settimana da esonerato a condottiero verso vette inesplorate. Non è corretta la prima asserzione, non è vera la seconda.
Spalletti si è limitato, dopo una partenza non a singhiozzo ma, se possibile, ad encefalogramma piatto o quasi, a restituire alla squadra una identità che, chissà perché, aveva provato a distruggere con esperimentini ed esperimentoni del tutto fini a loro stessi e senza un reale costrutto, un tornaconto in termini di gioco o risultati. Anche a Bologna, a fronte di un primo tempo dove il 4231 iniziale si trasformava spesso e volentieri in un 4211 stantio, senza inventiva. Radja che girovagava per il campo alla ricerca di una posizione mai trovata, gli esterni alti che non cercavano mai la linea laterale per allargare la difesa dei rossoblù di Pippo Inzaghi ma tentavano miseramente, piuttosto, di sfondare centralmente cozzando contro dieci uomini dieci parcheggiati davanti l’area di rigore felsinea. Gli esterni bassi che non salivano, preoccupati non si capiva bene da chi o da cosa – sono bastati pochi correttivi, intelligenti assai (Spalletti è uomo di campo, forgiato da mille battaglie, calcisticamente e tatticamente parecchio evoluto), come allargare Perisic e Politano per favorire l’inserimento di chi veniva a rimorchio da dietro (il gol di Nainggolan), far salire Asamoah costantemente tenendo, all’evenienza, D’Ambrosio come terzo di difesa a destra, per sfondare la linea Maginot impostata dall’ex centravanti del Milan per il quale, lo confesso, nutro una stima incondizionata ma che mi ha lasciato assolutamente basito nelle dichiarazioni post partita, quando ha affermato che la sua squadra aveva avuto le migliori occasioni per passare in vantaggio ed era in controllo della partita.
Ora, capisco tutto, capisco pure lo stress della gara, l’intervista a caldo ma Pippo…Pippo…ma cosa ha visto per un’ora e mezzo, mi perdoni? Vabbè, lasciamo stare le cose altrui e torniamo ad occuparci delle vicende attinenti casa nostra, mica possiamo preoccuparci per tutti quanti.
La squadra, comunque, non ha l’autonomia sufficiente per spingere novanta minuti; è apparso evidente anche nella città delle due torri che l’Inter corre con costrutto e raziocinio per una sessantina di minuti al massimo, così come mi sembra lampante quanto il rendimento di Brozovic salga in maniera esponenziale con la vicinanza di Gagliardini. Il secondo tempo di sabato pomeriggio ci ha riconsegnato il Marcelo visto negli ultimi mesi del campionato passato; con le dovute proporzioni, è chiaro quanto il regista che viene dall’Est sia ancora indietro – ha cominciato la preparazione da poco tempo – ma lampi di Brozovite acuta si sono ammirati qua e là. Così come l’altro croato, Ivan il terribile, ha girovagato una cinquantina di minuti per il campo, cercando quadrifogli con tutta probabilità (a proposito, dopo Reggio Emilia pure il manto erboso di Bologna avrebbe bisogno urgente di interventi seri, sono prati dove si gioca la serie A e non il torneo infrasettimanale delle Coop emiliane) salvo poi ricordarsi di aver trascinato la sua nazionale ad una finale mondiale e di essere uno degli esterni alti più completi del panorama calcistico minimo continentale.
Ci sarebbe da parlare ancora parecchio; ad esempio di Politano, perculato da geni calcistici che non finiscono di stupire quotidianamente – mi chiedo per quale arcano motivo costoro sprecano il loro tempo e l’immensa scienza calcistica in possesso al mero servizio dei social e non mandano un curriculum direttamente in sede, sai che svolta di vita – e sottovalutato, considerato un acquisto di serie B perché fornito di cognome italico e non proveniente da lande sperdute del Sud America ma assai fattivo, mille polmoni, voglia di correre da far paura e trottolino senza soluzione di continuità nel centrocampo nerazzurro. Così come, pian piano, anche De Vrij (si pronuncerebbe De Frei in olandese, almeno credo, ma noi siamo anglofoni sicché biascichiamo un De Vrai in onore della regina Elisabetta) sta entrando nel meccanismo, pur se sabato si è lasciato uccellare da tale Federico Javier Santander Mereles che ha costruito, fatti e non pugnette avrebbe detto qualcuno, l’unica occasione vera da rete per i bolognesi in tutto il secondo tempo; però l’intesa con Skriniar (ancora imballato ma sempre maggiormente a suo agio) sta crescendo e i due potranno darci grandi soddisfazioni insieme, formando quel muro che l’olandese stava accuratamente costruendo nel video della sua presentazione estiva.
Insomma, se Spalletti mette gli uomini che ha nei posti a loro congeniali e non cerca di stupire nessuno con effetti speciali che di speciale hanno zero, questa è una squadra destinata a far bene in Italia e, perché no, anche all’estero. A proposito di estero, i sorteggi Champions ci hanno consegnato un girone con Barcellona, Tottenham e PSV. E via di pianti e lamenti, tanto ci manderanno fuori, cosa giochiamo a fare il girone, non siamo all’altezza ed altre amenità che ho volutamente rimosso dai ricordi. Ora, punto primo a me hanno insegnato che nella vita le cose si affrontano, poi si tirano le somme, rispetto per tutti e paura di nessuno e, punto secondo, io questo terrore di inglesi e olandesi non ce l’ho, ma manco per sbaglio. Poi sarò troppo ottimista, non mi renderò conto dei nostri limiti, non capirò un cazzo di pallone (questo ci sta), però tutte ‘ste complicazioni anche no. Appartengo al partito del giochiamocela, che da perdere per quest’anno abbiamo poco se non nulla. Siamo arrivati in Europa dalla porta principale, il nostro diktat deve essere quello di restarci il più a lungo possibile e rientrarci, ancor più agguerriti, la prossima stagione.
Con Spalletti, vedendo di fare il meglio possibile.
Ad Maiora.