(Inter) Tutti oggi hanno un ricordo commosso per Giacinto Facchetti, a 12 anni dalla sua scomparsa. Le foto dei suoi momenti più belli, qualche parola delle poche che rilasciava alla stampa, qualche frase del libro di Gianfelice o altri ricordi dei familiari. Tutto abbastanza scontato, ordinario, quasi banale. Sintesi di un conformismo cui Giacinto non si adeguò mai, nel sul campo né soprattutto fuori, nella sua seconda vita da dirigente nerazzurro.
Parlare della sua eleganza sul rettangolo verde, dei suoi successi nell’Inter e in Nazionale, di quella fascia da capitano portata con orgoglio in entrambe le circostanze sembra la ripetizione di un film già visto. Facchetti al contrario è un modello di attualità dirompente, almeno per chi vive l’Inter con la passione forte e giusta degli onesti. Facchetti è la schiena dritta e la testa alta dell’Inter da 50 e passa anni, è lo specchio che riflette l’immagine positiva di un calcio che per lungo tempo doveva vergognarsi di sé stesso. Questo è ancora oggi il “Cipe” per gli interisti, e continuerà ad esserlo nel futuro, qualunque esso sia.
Oggi la foto, le parole di circostanza, il “coccodrillo” postumo tirato fuori ogni 4 settembre, più o meno con sempre simile a quello precedente.
Da domani, passata la celebrazione, si torna alla cronaca, fatta per tanti versi ed in tante occasioni dall’alter ego di Giacinto, quel Luciano Moggi cui molti, troppi, tra gli addetti ai lavori del calcio giocato o raccontato, strizzano ancora l’occhiolino. Al contrario di Facchetti, Moggi è attualità, fa audience, fa vendere copie e chi se ne frega se è radiato in via definitiva dal calcio, che importa se negli altri paesi europei sarebbe invitato a stare lontano dalle scene. Siamo Italia perbacco, cascano ponti, le fabbriche si fermano, che volete che sia se parla Moggi?
Facchetti e Moggi, personaggi diversi, valori diversi, simboli di un calcio diverso.
Noi siamo orgogliosi di stare dalla parte giusta. Ce lo ha insegnato proprio Giacinto, il nostro “pennellone” , come lo definì in maniera sprezzante il suo alter ego in una telefonata che doveva restare segreta.
Con la speranza che chi continua a stare dall’altra parte della barricata lo faccia senza reale convinzione, insomma … “ capitemi, tengo famiglia”.