Cresciuti a pane e Gazzetta, oggi resta solo la michetta. Che tristezza!
Gazzetta dello Sport, c’era una volta un mito
(Gazzetta dello Sport) Quelli che continuano a definirsi giovani dentro perchè ormai l’esteriorità parla chiaramente della loro incipiente vecchiaia sanno di cosa stiamo parlando. C’è stato un tempo in cui la Gazzetta dello Sport non era un giornale, era a suo modo uno status simbol. Chi entrava nel bar con la rosea sotto il braccio conquistava automaticamente un surplus di credibilità nelle discussioni feroci che da li a poco sarebbero sbocciate. Chi non la comprava faceva la ronda al bar, caffettino e pastarella diventavano la scusa per passare una buona mezz’ora a sfogliarla con dedizione quasi religiosa.
E intanto cresceva la fila di quelli che aspettavano che il lettore finisse anche le pagine del ciclismo, basket e pallavolo, pronti a sferrare l’attacco vincente per conquistarla per un’altra mezz’ora. Spesso le dita restavano macchiate dell’inchiostro ancora fresco, ma nessuno si incazzava come succederebbe oggi. Quel nero sull’indice era un tributo da pagare volentieri per acculturarsi alle fonti sapienti di Gino Palumbo o di Candido Cannavò.
La reazione della gente
E il bello era che la leggevano tutti, interisti, juventini, milanisti, tutti con la stessa passione e curiosità. Era il prestigio di una testata che non aveva rivali in quei decenni, forse perché il calcio era ancora una cosa abbastanza seria e chi lo raccontava doveva stare al passo. A distanza di pochi lustri il calcio si è lentamente trasformato da sport a gioco per diventare negli ultimi anni quasi solo uno spettacolo, una forma di intrattenimento come altre.
Il giornalismo autorevole che doveva e poteva ribellarsi ha preferito seguire la china. Chi oggi si lamenta per le migliaia di copie vendute in meno rispetto a poco tempo fa può solo fare mea culpa. Ecco perché quando si è trattato di leggere sulla Gazzetta di oggi la rivolta di Cristiano Ronaldo nella pancia della mamma o la sua garra anche nel burraco, la sensazione non è stata tanto quella della rabbia dei tifosi di un’altra squadra. Qualsiasi essa sia, costretti a sorbirsi l’ennesimo peana al campione portoghese.
La reazione è stata un’altra, di tristezza profonda, come vedersi strappare un pezzo della propria gioventù alla quale eravamo affezionati, come assistere al lento decadimento di una famiglia ricca e nobile che riesce a perdere il suo prestigio tra le ironie ed i sorrisi beffardi dei concittadini. Ed è una reazione che, leggendo i social, si sta espandendo a macchia d’olio, in tanti si sentono traditi.
Una strada senza sbocco
Il calcio si salva se ritorna ad essere divertimento puro, condito da quella dose di sano infantilismo di cui il tifo si ciba da sempre. Vero dunque che i tifosi possono essere catalogati come una sottospecie del genere umano con peculiarità del tutto particolari. Ma nonostante tutto, questo non dovrebbe comunque permettere a nessuno di prenderli in giro.
Se i responsabili della Gazzetta ritengono che continuando su questa linea sia possibile recuperare lettori ed accrescere il loro business avranno ottimi motivi. A noi, semplici e modesti lettori del quotidiano che fu pare più un suicidio.