Indice dei contenuti
(Inter News) In un immaginifico diritto costituzionale nerazzurro, la Curva Nord avrebbe di diritto il suo posto insieme agli altri “organi dello Stato”. Insieme a società, squadra e staff tecnico, i tifosi sarebbero la quarta architrave di questo sistema istituzionale che regge le sorti nerazzurre, ed alla Curva spetterebbe il compito di massima rappresentanza di tutti gli appassionati.
Un “organo costituzionale” con le sue regole, con i suoi dirigenti con le sue tradizioni, che da sempre sorregge, spesso da sola, l’urto con le tifoserie avversarie ed il sostegno alla squadra. Nel mirino della stampa e di altre frange meno calde la Curva Nord ci è finita spesso. Non ci interessa in questa sede la collocazione politica e non ci interessa tornare su fatti antichi.
Ci interessa invece approfondire per un attimo il rapporto con la squadra. Il 2018 si è aperto con due coreografie strepitose, il “Corri e lotta” di Inter Torino ed il “We are back” nella serata della rentreè in Champions con il Tottenham. L’incitamento alla squadra è al massimo, chi era presente alla partita con la Viola di martedì scorso avrà notato che per i primi 30 minuti non c’è stata soluzione di continuità nei cori del secondo anello anello verde. Impressionante, e solo per questo sono da ringraziare, uno ad uno questi ragazzi che dedicano ogni energia all’Inter.
Chi scrive non ha più l’età per essere uno di loro, ma chi l’ha frequentata da giovane, anche se mai organicamente, non può restare che lì con il cuore, forever, anche se la massa corporea sta nel secondo anello rosso. E allora si fa quello che si può per sostenere la Nord, gli applausi alle loro coreografie, gli euro sganciati volentieri per la fanzine, soldi ben investiti perché tornano poi a vantaggio di tutto il Meazza.
L’Urlo della Nord, l’organo ufficiale della Curva racconta la loro vita, il loro impegno, le trasferte, le sensazioni. Le gioie e le incazzature. E proprio sull’Urlo ci ha colpito una frase apparsa sul numero 2, distribuito in occasione di Inter Parma.
Raccontando la trasferta a Bologna e l’esultanza per la vittoria finale, la Curva parla così: “Triplice fischio, esultiamo, i giocatori non ci cagano, non ci degnano nemmeno di un saluto sotto il settore di chi macina chilometri. Che andassero a fanculo”.
Non rilevano i motivi, non rilevano le circostanze, motivi di attrito tra tifoserie e giocatori esistono in ogni club, chi immagina paradisi a prescindere sbaglia, ma tutto deve trovare un limite invalicabile. Quanto stride l’immagine descritta con quello che ogni domenica è dato vedere in altri stadi, importanti quanto quelli dove gioca l’Inter o meno.
La corsa a salutare i tifosi a fine gara, qualsiasi sia il risultato, non dovrebbe essere un rito, una abitudine fine a sé stessa, dovrebbe essere un segno di riconoscimento dovuto a chi è lì con te a soffrire, pagando fior di quattrini invece che mettendoseli in tasca come i protagonisti in campo.
In società c’è qualcuno che non la pensa così? Peggio per loro. Spalletti nelle interviste e conferenze stampa ha sempre fatto riferimento alla passione dei tifosi per caricare i suoi ragazzi. Dunque sia conseguente, è lui il timoniere di questa barca, sia lui ad imporre alla squadra, tutta la squadra senza alcuna eccezione, che al termine di ogni partita vinta o persa, il cenno di saluto alla Curva e a tutto il pubblico è un atto dovuto.
Dovuto, sincero, riconoscente, non una semplice ruffianeria da tre soldi. Due minuti in più sul campo, un applauso a chi ti applaude, sempre, da una vita. Non dovrebbe essere così difficile o faticoso, vero mister?