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Iván Zamorano è solo un bambino-, non ha ancora compiuto sette anni-, quando Augusto Pinochet con un sanguinoso colpo di stato pone fine alla presidenza di Salvador Allende.
Sono anni duri, di repressione e tortura. Ma non esiste dittatura al mondo capace di trasformare i sogni di un bimbo in incubi terrificanti.
Quello cullato dal piccolo Iván è diventare un calciatore, magari del Colo Colo, squadra che segue insieme a suo padre Luis, un uomo saggio, forte, fiero, che il beffardo destino si porterà via qualche anno dopo.
Zamorano non riuscirà a condividere successi e vittorie con la persona che più di ogni altra ha creduto nelle sue capacità. È la vita, con le sue gioie, i suoi dolori, ma soprattutto, con i suoi sentieri.
Uno di questi, in apparenza tortuoso, conduce a Madrid dove, almeno secondo Ernest Hemingway, si impara a capire, e, magari,- potremmo aggiungere-, a comprendere che nessun avversario è invincibile.
Non fa eccezione il Barcã di Guardiola, Romario, e, soprattutto, di Johann Crujiff. In una giornata di gennaio del ‘95 i blaugrana, bravi, senza dubbio, ma al tempo stesso spocchiosi e superbi, vengono asfaltati con un netto 5-0.
È la fine del loro incontrastato dominio, della loro altezzosità. Quella pesante umiliazione costringe i catalani alla resa, a sciacquarsi i panni nelle acque del Manzanarre, ad alzare bandiera blanca.
Zamorano realizza tre reti e due assist, quanto basta a far comprendere a tutti, anche allo scettico Jorge Valdano che quel guerriero venuto dal Cile è capace di comprendere il calcio raffinato di Redondo, Laudrup e Raùl.
La difesa catalana non può nulla di fronte a quella miscela letale di tecnica e potenza, scardinata nella bislacca resistenza come solo un altro cileno, Colocolo, grande capo Mapuche, seppe fare contro gli spagnoli nel 1553 durante la battaglia di Tucapel.
Nel periodo storico in cui si posano le fondamenta per il Real Madrid dei galacticos, Zamorano risulta determinante per un cambiamento non solo tecnico, ma anche caratteriale della squadra. Le 28 reti delle 76 complessive stagionali, gli valgono la corona di Pichichi e la corte serrata dell’Inter.
È Massimo Moratti a convincerlo a trasferirsi a Milano. L’allenatore è Roy Hodgson, alla guida di una squadra eccellente, allestita con passione e competenza dalla dirigenza nerazzurra.
Oltre a Zamorano, arrivano in nerazzurro Galante, Angloma Djorkaeff, Sforza, Winter e Kanu. L’Inter,-anche grazie al cambio di mentalità portato da Hodgson-, raggiunge la finale Uefa contro lo Schalke 04.
Nel ritorno a San Siro, la squadra riesce a rimediare allo 0-1 subito in Germania. Rimessa laterale di Pistone, spizzata di testa di Ince, zampata di esterno destro di Zamorano, sbucato dal nulla, e nerazzurri meritatamente in vantaggio.
Al termine dei tempi supplementari Hodgson sostituisce Zanetti con Berti. El Tractor non gradisce e si trasforma in Mr. Hyde. Sarà quella l’unica volta in cui il glorioso capitano nerazzurro perderà le staffe in carriera.
A placare e contenere l’ira di Zanetti, ci pensa Andrea Mazzantini, straordinario portiere, numero 12 nerazzurro solo perché davanti a sé ha Gianluca Pagliuca.
Leader vero, amato, rispettato e molto considerato nello spogliatoio, Mazzantini, che nel 99 andrà a fare le fortune del Perugia di Luciano Gaucci, riesce con solerzia e maestria a riportare Zanetti alla ragione.
L’aplomb di Hodgson non si scalfisce neanche in quell’occasione. Servono i calci di rigore per stabilire la squadra vincitrice, ed il primo tiro dei nerazzurri spetta proprio a Zamorano.
Il suo nome, inizialmente, non figura in lista. Durante la partita ha rimediato un lieve infortunio, ma è un guerriero e non si tira indietro. Di fronte a lui, il gigante Jens Lehmann.
Zamorano è consapevole della bravura del portiere, ma quello che forse ignora è un modo di dire tedesco ereditato da Otto von Bismarck secondo cui i teutonici, a parte il buon Dio, non temono nessun altro al mondo.
Se solo avesse tenuto a mente le parole del cancelliere di ferro, avrebbe forse calciato in maniera differente il suo rigore. Il tiro è di quelli a mezza altezza, facile preda della piovra Lehmann.
L’errore decisivo di Winter spinge la coppa Uefa in Germania. La gloria è rimandata di un solo anno, giorno più, giorno meno. Vestita di tutto punto, con tocchi di nero e d’azzurro, si presenta bellissima in una sera di maggio.
“Zanetti, il tocco centrale a favore di Ze Elias sceso in campo un po’ a sorpresa al posto di Cauet, lancio poi profondo per Zamorano. Attenzione, Zamorano, gooollll dell’Inter, che dopo quattro minuti passa in vantaggio”.
Con queste parole lo straordinario Bruno Pizzul-, ad avercene oggi di voci sublimi come la sua-, descrive il vantaggio contro la Lazio nella finale Uefa tutta italiana.
La partita termina 3-0, di Javier Zanetti e Ronaldo, con una memorabile serpentina, le altre reti. Ma il gol più importante, quello che costringe i biancocelesti a cambiare l’approccio alla gara, è di Zamorano, Iván, nel frattempo divenuto Terribile.
Aveva scelto Parigi per esaltarsi, ed un cielo coperto di stelle per esultare. Ma ce n’era una che avrebbe brillato più di tutte: quella di Luis Zamorano, padre orgoglioso di un figlio che in campo avrebbe continuato a lottare fino all’ultimo minuto della sua memorabile carriera.
Eccolo lì, ci sembra ancora di vederlo, Iván il terribile. Guardate che gol! Indossa la maglia gloriosa del Colo Colo, dei guerrieri Mapuche.
Bam-Bam, Iván, vamos Cacique!