Andrea Mazzantini, il gatto volante. Semplicemente un leader

Andrea Mazzantini, semplicemente un leader

 

Andrea Mazzantini, il gatto volante. Secondo Jorge Valdano, storica bandiera del Real Madrid, per interpretare il ruolo di portiere ci sono numerosi modi, e tutti estremamente difficili.

È figura chiave della difesa, anzi, cruciale. Non basta saper comandare, bisogna infondere sicurezza ai compagni di reparto. In una sola parola, deve essere un leader. El poeta, questo il soprannome di Valdano, distingue i portieri in base alle caratteristiche tecniche.

Ecco, dunque, quelli che bloccano il pallone o lo giocano, gli showman alla Higuita, o i sobri alla Valdir Peres, i kamikaze alla Harald Schumacher, o i prudenti alla Dino Zoff.

Nel Venezia di Zamparini, ancora lontanissimo dal diventare proprietario del Palermo, il portiere è Andrea Mazzantini. E’ talmente bravo che se solo Valdano lo avesse visto all’opera, lo avrebbe voluto sicuramente nel suo Valencia. A quel punto, con Mazzantini in squadra, per Zubizarreta sarebbero stati dolori.

 

All’Inter non si può dire di no

 

Ma la strada di Mazzantini non prende la via della Spagna. Quel ragazzo dal look stravagante,- indossa sempre pantaloncini aderenti da ciclista e maglie larghe ed appariscenti,- sicuro nelle uscite, bravo tra i pali, carismatico, per nulla impaurito dagli avversari, non sfugge alla acuta ed attenta osservazione della dirigenza nerazzurra che lo acquista nell’estate del ‘96.

 

Pagliuca, un gatto per amico

 

L’Inter ha bisogno di sostituire Marco Landucci, giunto quasi al culmine di una buona carriera, ed è decisa a puntare su un prospetto estremamente valido, non un “vecchietto” che si contenti solo di guardare la partita in panchina.

Serve un giovane, ma non uno qualsiasi, ce ne vuole uno bravo, capace con la sola presenza di stimolare costantemente e quotidianamente Gianluca Pagliuca, il gatto di Casalecchio.

Jules Verne, celebre scrittore, uno che con la fantasia è arrivato fino al centro della terra ed è sceso 20.000 leghe sotto i mari, sosteneva che i gatti fossero spiriti venuti sul nostro pianeta e capaci di camminare su una nuvola.

Per stimolare un gatto bisogna necessariamente trovarne un altro. Ed eccolo dunque, Mazzantini,-che di lì a poco sarebbe diventato gatto volante-, pronto a sporcarsi i guantoni al fianco del gatto di Casalecchio.

Durante la sua esperienza nerazzurra, Mazzantini vede il campo in pochissime occasioni, ma è durante gli allenamenti quotidiani che i compagni di squadra si rendono conto delle pregevolissime doti di cui è dotato. 

 

Non solo doti tecniche, ma anche umane

 

Il Mazza,-così lo chiamano-, diventa, giorno dopo giorno, sempre più importante per lo spogliatoio nerazzurro. Un gruppo unito, compatto, che grazie al sacrificio di tutti e alle giocate inimitabili di Ronaldo, il fenomeno, l’unico degno di tale appellativo, diffidare dalle imitazioni, trionfa in Europa.

Nel giorno del cinquantatreesimo compleanno di Massimo Moratti, Ronaldo è ancora in corsa per il titolo di capocannoniere. Si gioca Inter-Empoli, e Mazzantini fa il suo esordio in campionato.

Molto bella è la staffetta con Gianluca Pagliuca. Il buffetto con cui l’estremo difensore della Nazionale lascia il posto al collega ed amico, è toccante. Sarà quella l’ultima apparizione in nerazzurro.

Mazzantini è sprecato per scaldare la panca. È giusto spiccare il volo verso altri lidi, verso altre città. Anche su suggerimento dello “Zio” Beppe Bergomi, un capitano dal grande cuore e sempre attento ai giovani compagni, decide di accettare la corte del Perugia.

La separazione è toccante, tanti sono i ricordi, i momenti meravigliosi da custodire nel cuore. Dall’esordio contro la Reggiana alla coppa Uefa di Parigi, emozioni pure, intense, irripetibili. Mazzantini lascia Milano in una giornata uggiosa di gennaio.

L’ultimo abbraccio ai compagni, l’ultimo buffetto affettuoso di Pagliuca, qualche lacrima, e poi in macchina, direzione Perugia. Prima però, il saluto di Massimo Moratti, il presidente gentiluomo, signore d’altri tempi.

Se solo si fosse affidato al cuore, Moratti non lo avrebbe mai ceduto, ma il numero uno nerazzurro sa bene che quella scelta ha bisogno di razionalità, non può e non deve essere emotiva.

Perugia è la soluzione migliore per quel meraviglioso portiere venuto dalla Liguria. Il presente si veste di biancorosso. 

 

Da Moratti a Gaucci

 

Vedi di non fare cappelle…

Con queste parole Luciano Gaucci, carismatico presidente dei Grifoni, accoglie Mazzantini a Perugia. Quella rudezza iniziale è solo apparente, Gaucci ha un cuore immenso, è generosissimo come pochi, è un uomo vero, giusto, buono.

Ma in quel momento non può esserci spazio per la galanteria, bisogna pensare solo alla salvezza. Pagotto e Roccati non hanno reso secondo le aspettative, Castagner non è soddisfatto del rendimento dei due estremi difensori e Luciano Gaucci accontenta l’allenatore.

La musica cambia radicalmente, il suono diventa più dolce. Volando da un palo all’altro con una rapidità disarmante, il Mazza riesce nell’impresa di esaltare il pubblico del Curi.

Trasmette la sicurezza che lo contraddistingue da sempre-, sin da quando parava da bambino nella sua La Spezia-, all’intero reparto difensivo.

Grazie anche ai suoi ottimi interventi, il Perugia, nel frattempo passato da Castagner a Boskov, centra una storica salvezza. 

 

La vendetta sulla Vecchia Signora

 

È durante la stagione successiva, con Mazzone in panchina, che il Perugia, così come capitato molti anni prima, riscrive la storia della serie A. Cambia il protagonista principale, c’è la Lazio al posto del Torino di Radice. Rimangono inalterati gli altri ruoli.

Il Perugia resta carnefice, la Juventus è la vittima, ma forse più di se stessa, che del bravo e volenteroso Grifone.

In una domenica di maggio del 2000, sotto un diluvio universale, voluto forse da un Dio più sportivo che tifoso, un letale Grifone pugnala a morte una Vecchia Signora giunta in Umbria con eccessiva spavalderia, e con magliette celebrative che non vedranno mai momenti di giubilo.

Mazzantini si toglie la soddisfazione di scucire dalle maglie bianconere uno scudetto già ricamato. Una piccola vendetta per quel titolo sfuggito nel 1998, forse più per alcuni errori arbitrali che per mancanze della squadra.

Un risarcimento per se stesso e per i suoi fratelli nerazzurri, compagni di tante battaglie. L’avventura in biancorosso dura fino al 2002, ma, di fatto, la sua storia d’amore col Grifo si chiude nel dicembre del 2001, in seguito ad una squalifica per fallo su Pecchia, a quei tempi, centrocampista del Bologna.

 

Una vita va, ancora altre sei da vivere

 

Mazzantini sceglie Siena, città del Palio. In Toscana sono tutti sicuri che l’ex biancorosso disputerà una grande stagione. Tutti, tranne il fato beffardo e crudele, con cui non hanno fatto i conti. D’altronde i senesi lo sanno, “Sicuro morì a Ponticini”.

Curioso proverbio, purtroppo azzeccato. Per un evento malevolo della sorte, in questo caso alleata del fato spietato, Mazzantini non indosserà mai la maglia bianconera.

Nonostante i gatti posseggano sette vite, un incidente stradale gli strappa via, in maniera bruciante ed inaspettata, quella agonistica. Gravi lesioni al braccio lo costringono ad appendere i guantoni al chiodo.

Un duro colpo, un rospo difficile da ingoiare, che Mazza riesce comunque a mandare giùNon si scompone, ben sapendo che dopo il buio c’è sempre la luce.

Una vita era andata via, altre sei dovevano essere ancora vissute. Con la stessa intensità, con la stessa determinazione.

E allora vola, caro Andrea, anche se non più da un palo all’altro, continua a sbalzare, continua a sognare. E, soprattutto, continua a farci esaltare, proprio come hai sempre fatto.

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Davide Losc