(ID) Beccalossi Inter: “Marotta ha già capito tutto in pochi mesi”

BECCALOSSI INTER – La redazione di InterDipendenza.net ha intervistato Evaristo Beccalossi, indimenticabile fantasista romantico di una grande Inter. Nasce a Brescia il 12 maggio 1956. Acquistato sul finire della stagione 77-78 dal Brescia (94 pres. e 14 gol) ha giocato nell’Inter dal 78-84 collezionando 216 presenze, 37 reti tra campionato e coppe (30 gol in campionato), 1 semifinale di Coppa Campioni persa col Real 80-81, 1 Coppa Italia 81-82 (finale andata e ritorno col Torino).

Per me è una grande emozione intervistare il “Becca”, “Beck” o “Dribblossi” come lo chiamava Gianni Brera. La prima volta che vidi l’Inter, Evaristo Beccalossi segnò. Era il 7 ottobre 1979 a Bologna, Bologna-Inter 1-2. Cross di Pasinato dalla destra, finta di Altobelli e gol di Beccalossi. Ricordi di un ragazzo di allora che non ha più lasciato quei colori. Quasi quaranta anni dopo ci ritroviamo.

Mancino naturale, col vizio del dribbling e uomo assist è un romantico precursore del prototipo del fantasista in chiave moderna. Un genio del pallone dagli ottimi tempi di gioco. Ricorda scherzosamente quella volta che fu acquistato dall’Inter dopo che un osservatore della squadra nerazzurra lo era andato a vedere. Solo dopo il “Becca” venne a sapere che, durante un Brescia-Lecce, bastarono dodici minuti per saggiare le doti del futuro numero 10 dell’Inter. «Dribblai 5 avversari uno dietro l’altro, ma presi il palo, tra me pensai, ma proprio oggi dovevano venire a vedermi, che ho giocato così male?».

Beccalossi Inter: “San Siro emozione indelebile”

Beccalossi ragazzo, per quale squadra tifava?

«Non avevo una squadra in particolare per cui tifavo. Ero abituato bene però, perché ho avuto la fortuna di veder giocare campioni come il numero 14 dell’Ajax Johan Cruijff,  il numero 10 Omar Sivori che giocava con i calzettoni giù, Gianni Rivera. Ero abituato bene. Tutti grandissimi campioni e poi a 22 anni ho indossato la maglia dell’Inter col n. 10 e sentire 80mila persone a San Siro che chiamano il tuo nome è un’emozione indelebile ancora oggi, magari non mi ricordo i gol, ma quella sensazione non la potrò mai dimenticare. La porti dentro. Mi sembrava di essere su Marte. E l’Inter è la mia casa madre da allora.»

Nostalgia di quella Inter vincente della stagione 1979-80?

«Era una grande squadra, un gruppo molto unito, di soli giocatori italiani, di cui 7 o 8 che venivano dal settore giovanile, un bellissimo gruppo. Ho un ricordo speciale nel cuore, per quella squadra, perché tra la Grande Inter di Angelo Moratti e l’altra Grande Inter del Triplete di Massimo Moratti, entrata nella storia, c’eravamo noi ad aver riportato a Milano lo scudetto.»

Nostalgia di quei compagni di squadra ? quali sono i compagni di allora con cui è ancora legato?

«Nessuna nostalgia perché ci ritroviamo tutti una volta al mese a cena. Siamo in 12. Ne manca solo qualcuno per motivi logistici. La prima volta che ci siamo rivisti ci facevamo anche gli scherzi per vedere se ci riconoscevamo.»

Qual è la differenza tra il calcio di oggi e quello di allora, solo la velocità? C’erano meno soldi senz’altro, ma non era più sano, più spensierato, con meno pressioni, più bello? Cosa terresti di allora?

«La Preparazione, i tipi di allenamento sono diversi, è aumentato tutto a livello fisico, bisognerebbe far convivere la preparazione fisica e la crescita a livello tattico – gli allenatori di oggi sono molto più preparati rispetto a prima – con un po’ più di fantasia a livello di tecnica individuale. Organizzazione sì, ma i ragazzi dovrebbero esseri liberi di esprimere la propria fantasia. Non a caso il gioco del calcio dovrebbe riguardare soprattutto il pallone, non soltanto a preparazione atletica. Terrei lo spazio, io vengo dall’oratorio, sono cresciuto giocando sull’asfalto e i muri di cemento dove far rimbalzare il pallone. Quello spazio oggi manca.»

Un genio come Johan Cruijff ha detto: «tutti gli allenatori parlano di movimento, di correre molto. io dico che non è necessario correre tanto. Il calcio è uno sport che si gioca col cervello. Devi essere al posto giusto nel momento giusto, né troppo presto né troppo tardi». Perciò per essere bravi al calcio bisogna essere dotati di buoni tempi di gioco. E Beccalossi era dotato di straordinari tempi di gioco: fare la cosa giusta al momento giusto, che fosse il dribbling, il passaggio, il tiro o l’assist. Se anche il trequartista negli schemi tattici di oggi non ha più il ruolo di una volta, Beccalossi oggi che ruolo avrebbe in questa Inter?

Si schernisce «Se mi pagavano al chilometro ero rovinato, però Cruijff ha ragione. Sono arrivato dopo tanti campioni eppure mi sono trovato a battagliare con gente del calibro di Maradona e Platini. Mi ricordo di un Inter-Juventus, duello Platini-Beccalossi, avvertivo quella soggezione pesante come un macigno e non vedevo l’ora che passasse quella domenica lì. Ma aver lasciato un buon ricordo è la cosa che mi gratifica più di tutto perché io ero felice di indossare la maglia dell’Inter e di giocare a San Siro, non ho mai guardato ad altre cose.

La mia felicità era arrivare in quello stadio e giocare con la maglia n.10 dell’Inter. Questa è la mia più grande gratificazione e che mi rimarrà dentro per sempre. Le idee di oggi in realtà non sono tanto diverse. Quando all’Inter arrivò Hansi Müller, l’idea era di giocare con Müller e Beccalossi in appoggio all’unica punta, Altobelli. Che è lo stesso schema che giocano adesso. Oggi si gioca con un’unica punta con un centro destra c’è un trequartista o comunque uno veloce, e un centro sinistra dietro alla punta centrale. Poi io con Müller non andavo d’accordo, ma questa è un’altra cosa. Non è che bisogna stravolgere tutto, le idee ci sono sempre state.»

Una battuta sul VAR e sulle innovazioni tecnologiche in genere, cosa modificherebbe? Cosa ne pensa del tempo effettivo?

«Va migliorato ma è necessario come tutte le cose all’inizio, è un meccanismo che deve essere oliato un po’ di più, ma solo perché è una cosa nuova e quindi non può essere perfetta al 100%, ma è determinante nel calcio.»

Un aneddoto. Quella volta che ero già pronto e Bersellini mi disse: “Ma Becca, cosa fai?”

«Nasco calcisticamente in un oratorio, vengo da una famiglia di operai ed entrare prima di Inter-Real Madrid in mezzo al campo e sentire i tifosi che già gridano il tuo nome era una cosa incredibile. Vado negli spogliatoi e il povero Bersellini, dopo un po’, mi trova e mi fa: “Becca ma cosa fai? “Mister sono pronto” “Ma manca un’ora e mezzo!”. Ero già pronto per entrare in campo, in trance agonistica.

Ma tutto San Siro che gridava il tuo nome mi dava una grande forza. Sai, all’epoca, aspettavi Natale per avere un paio di scarpe, mio padre mi accompagnava agli allenamenti. L’andata la facevo in bicicletta al ritorno, quando lui finiva di lavorare, mi veniva a prendere e piegava la Graziella per riportarmi a casa con la nebbia. Rivedi tutto e sono le cose che mi porto dentro. Mi manca molto mio padre, è mancato troppo presto a 64 anni e mi sarebbe piaciuto che fosse stato accanto a me anche dopo.»

“Mi chiamo Evaristo scusate se insisto”

«Quella frase in realtà io l’ho mai detta, ma la coniò un genio del giornalismo, Beppe Viola, anche lui mancato troppo presto. Era una battuta riciclata da un tifoso dopo il derby del 2-0 col Milan.»

C’è una partita in particolare che rigiocheresti?

«La sfida col Real Madrid, la semifinale di Coppa dei Campioni, allora si chiamava così. Rigiocherei quella partita con più esperienza. Certo, andare al Berbaneu e giocare davanti a 100 mila spettatori e contro fenomeni come Juanito, Camacho, Santillana, o Del Bosque non era una cosa facile. Ma rigiocherei quella partita con quel calore di San Siro. Quello non lo dimenticherò mai.»

La mancata convocazione in Nazionale è stata la delusione più grande ?

«Non ho nessun rimpianto. Sono stato molto fortunato nella mia carriera. Anche Pruzzo che era capocannoniere non fu convocato in quella Nazionale. Certo il pathos che ti viene con l’inno non ha prezzo. Ma tutto questo lo vivo con la Nazionale U19 e ho la possibilità di essere di aiuto ai giovani.»

Beccalossi Inter: “Marotta ha già capito tutto”

Come Capo delegazione U19- che prospettive offrono i giovani di oggi? Che messaggio manderesti ai giovani di oggi?

«Alla Nazionale U19 ho trovato una grandissima organizzazione e ragazzi con tanta voglia di crescere. Con loro svolgo un lavoro individuale proprio per la valorizzazione del bagaglio che ognuno di loro ha. Sono tutti animati da grandissima voglia di fare, sono molto determinati e sanno esattamente quello che vogliono. Noi dobbiamo solo valorizzare quello che già hanno dentro di loro.

C’è una grande attenzione sui giovani, e abbiamo la fortuna di avere un gruppo di ragazzi interessantissimi. Basta pensare a Zaniolo che Mancini ha convocato in Nazionale maggiore senza che avesse giocato una sola partita in serie A. Basta guardare le convocazioni per capire che ci sono giovani promettenti. Dobbiamo essere bravi ad aprirgli le porte perché siano valorizzati fino in fondo.»

Cosa manca al nostro calcio per raggiungere paesi come Spagna o Inghilterra? Eppure il nostro calcio è visto all’estero come tatticamente evoluto e abbiamo degli ottimi settori giovanili.

«Non abbiamo niente da invidiare agli altri. Non dobbiamo prendere esempio da nessuno. Bisogna puntare sui giovani. Se i giovani arrivano in prima squadra e giocano viene gratificato il lavoro di tutti quelli che si occupano di loro giornalmente, questo è il filo conduttore da seguire.»

Cosa cambierebbe per far tornare l’Inter a vincere o comunque ad avere quella mentalità vincente che le compete? Cosa manca?

«Marotta in questi pochi mesi ha già capito tutto. Sta facendo un ottimo lavoro. Bisogna mettere a posto delle cose e cercare di stare vicino alla Juve. È chiaro per tornare ad alti livelli ci vuole una squadra competitiva. Intanto l’Inter è riuscita a tornare in Champions dopo diversi anni e quest’anno si spera che si possa riconfermare, questo è il primo passo.»

Tornerai all’Inter?

«L’Inter è sempre nel mio cuore. E sono molto legato a Oriali e all’Inter, adesso però sto facendo un altro percorso professionale e quindi non è giusto parlarne perché sono molto contento e gratificato del mio incarico come Capo Delegazione della Nazionale U19. Certo, la casa madre è sempre la casa madre. E L’Inter è la mia casa madre.»

Francesco Sica

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