Ci sono momenti in cui sarebbe opportuno riavvolgere il nastro e rileggere la storia, cercare nel suo scorrere i particolari, anche quelli che a suo tempo sembravano negativi o insignificanti, e rileggerli con l’esperienza ed il senno del poi. Se i tifosi dell’Inter dedicassero qualche minuto di attenzione a questa attività in maniera razionale, senza farsi trasportare dalle emozioni, troverebbero gli aspetti positivi anche dentro i lunghi anni dopo il 2010.
Dopo gli anni dei trionfi, l’Inter ha passato quelli delle vacche magre imposte dal settlement agreement guardando vincere gli altri e costruendo il suo futuro con fatica enorme, mattone dopo mattone, impastando la calce con tante sconfitte dolorose e qualche vittoria ormai dimenticata. Oggi il tunnel è finito, la luce illumina la nuova sede inaugurata ieri come simbolo di una stagione nuova, di un’era in cui i colori nerazzurri possano tornare se non a vincere subito almeno a competere ad altissimo livello. E questo mentre altri club, proprio in questi minuti, sono impegnati in una trattativa altrettanto sanguinosa con la perfida Uefa, frutto avvelenato del mercato della coppia di ex mai rimpianti Fassone-Mirabelli, un’estate da botti, fuochi artificiali e 200 milioni e passa di acquisti santificati da una stampa miope e vigliacca nei confronti dell’Inter.
L’offerta presentata dal Milan di accettare l’esclusione dalle coppe europee in cambio di 12 mesi in più per rientrare nei parametri del FFP, rende onore, in qualche modo, a Erik Thohir ed al suo impegno sottoscritto con gli organismi europei nel 2015. A quell’epoca l’Inter non chiese elemosine, la sua storia non lo avrebbe concesso. Trattò con l’Uefa, conoscendo la propria debolezza di partenza ma anche tutto l’orgoglio della gente che si riconosce nei colori del cielo e della notte. Fatte le debite proporzioni, un po’ come Alcide De Gasperi fece nell’agosto del 1946 di fronte alle Nazioni Unite, sedendo da sconfitto di fronte alle potenze vincitrici, nel celeberrimo discorso “prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me…”.
L’Inter ha pagato con anni di ristrettezze economiche, ma se l’Europa non ha visto sui propri campi le maglie nerazzurre in qualche annata è solo per i risultati sportivi figli di quella criticità, non per una offerta sacrificale dei suoi dirigenti. Con lo spirito provinciale che caratterizza gran parte degli italiani, anche di quelli che scrivono sulla carta stampata, domani si leggerà che la soluzione è positiva perché l’Europa League è solo una rottura di scatole. L’Inter non la pensò così e fece bene, perché vogliamo credere che essere fratelli del mondo significhi anche questo.
Gli interisti vogliono tornare a riveder le stelle, la strada non ha più grandi ostacoli, e le nostre stelle sono tutte lì. A differenza di altri, chi tifa nerazzurro non ha bisogno di reclamare che qualche stella venga rimossa dal nostro pantheon. Anche perché, a differenza della Juventus, i nostri pantheon sono milioni di milioni, come recitava una famosa pubblicità. Ogni interista degno di questo nome ha il suo, perché le emozioni non si fermano né con il vento né con una bacheca sistemata dentro uno stadio. Le nostre stelle, almeno fino ad oggi, restano tali, senza i salti della quaglia di chi ha dato spettacolo proprio in quegli stadi a suon di gol e di gesti ironici indimenticabili e senza fermate improvvise imposte della gendarmeria.
Tante parole per parlare solo di orgoglio? Si, perché a noi interisti nessuno ha mai regalato niente e ne siamo fieri, ognuno ha i Moggi, gli Orsato ed i Ceccarini che si merita. Per ora teniamoci stretto il nostro orgoglio, disperderlo sarebbe suicida, e sarà proprio quello ad abbreviare il tempo per tornare a primeggiare.