A vederlo bene sugli schermi oggi mentre commenta le partite, non è cambiato per niente. Sorride, ma gli occhi, la mascella, il ghigno, lasciano immaginare che sia ancora pronto ad entrarti da dietro senza tanti complimenti. Palla e piede, va bene lo stesso, l’importante è che ci sia la palla, da sganasciare dai piedi avversari o da spazzare davanti a Zenga. magari verso il secondo il secondo anello, va bene lo stesso. Riccardo Ferri era questo, ma non solo questo, altrimenti se fosse stato solo “roccioso” non avrebbe giocato 13 stagioni nell’Inter, non avrebbe indossato 418 volte la maglia nerazzurra e 45 volte quella azzurra, non avrebbe vinto lo scudetto dei record e2 coppe Uefa.
Come in tutte le grandi coppie di difensori che si rispetti, Riccardo Ferri era il completamento perfetto per Beppe Bergomi, come Picchi e Guarnieri nella grande Inter di HH, come Skriniar e De Vrij oggi. Dove non arrivava la classe e la flemma dell’uno interveniva la decisone dell’altro e attenzione, gli avversari di allora con tutto il rispetto non erano CR7 a fine carriera, Quagliarella o Ciccio Caputo. Riccardo Ferri tutte le domeniche incrociava i tacchetti con Van Basten, con Maradona, Zico, Careca, Giordano, Gullit, non proprio gli ultimi arrivati insomma.
Nel 1977, quando Riccardo arrivò all’Inter per fare il primo provino c’erano 500 bambini, o forse è meglio dire 499 bambini ed un adulto camuffato, visto che uno di loro, a 12 anni, era già una spanna più alto di tutti ed aveva già due baffetti da sparviero. Alla fine del provino gli addetti comunicarono i risultati, 498 a casa, Riccardo e quello coi baffetti gli unici due abili ed arruolati. Ferri e Bergomi iniziarono la loro storia in nerazzurro in quel’ giorno, ancor prima dell’adolescenza, per finirla tanti, tanti anni più tardi.
Riccardo ricordava quel giorno ed il futuro Zio Bergomi qualche tempo fa in una intervista a Paolo De Canio: “A prima vista pensavo fosse l’autista del pullman, era incredibile come dimostrasse tanti anni in più di quelli che aveva… al momento dell’annuncio dei nostri due nomi, lui era gelato, io ho esultato come se avessi fatto gol. Questo fu il nostro primo incontro, ce lo siamo portati avanti per tutta la carriera. Quando andavamo a giocare avevano tutti paura di lui, con questi baffi. Da piccoli lo vedevano e pensavano tutti fosse il genitore”.
Una cotta per Boninsegna dopo averlo visto da vicino in una amichevole al suo paese, un papà pugile che per mandare avanti la baracca faceva due lavori, il desiderio di dare una mano alla famiglia interrotto da un brutto incidente. 2 placche e 9 viti in n braccio per ridurre una brutta frattura, un anno di stop che poteva significare fine del sogno. Ma le querce non cadono al primo colpo, pochi mesi dopo Riccardo firmò per l’Inter, i primi 12 milioni consegnati alla famiglia per comprare casa.
Oggi il genitore vero è lui, di tre figli, due dei quali gli stanno sottraendo lo scettro della popolarità familiare. Marco, modello ed influencer balzato agli onori della scienza con la partecipazione all’Isola dei famosi dello scorso anno, quando colpì tutti non tanto con l’avvenenza o con le armi a disposizione dei concorrenti quanto per il breve ma commovente colloquio con la sorella Stefania, bellissima ragazza dai tratti orientali, originaria dello Sri Lanka presa in affido dai genitori dalla famiglia Ferri quando era ancora bambina. Magari i centravanti di una volta non ci crederanno, ma anche a Riccardo vennero i lucciconi agli occhi quella sera parlando della figlia “Stefania ha portato grande luce nelle nostre vite”.
“I figli so’piezz’ e core”, cantava Mario Merola anni fa, ma un altro piezz’ e core di Riccardo Ferri è stata la maglia dell’Inter. “Ho baciato solo quella” confessò lo stopper a Inter Channel qualche anno fa, ricordando che per nessun prezzo sarebbe mai andato alla Juventus o al Milan, dopo una vita passata a lottare contro di loro fin dalle giovanili. La parentesi finale alla Sampdoria fu, appunto, solo una partentesi di fine carriera.
I giovani come lui, a quei tempi, erano destinati a subire un po’ di simpatico nonnismo da parte dei big. Anche a Riccardo toccò qualche volta portare la borsa a Oriali o a Bordon, a Bini o a Beppe Baresi. Oppure prendersi cura degli scarpini del Beck, il che era già un compito più impegnativo.
L’esordio fu degno di Altobelli alla finale mundial 1982. Ferri era in panca con Bergomi, Serena, Cipollini e altri. Bersellini si girò verso loro urlando “Scaldati”. Nessuno aveva capito a chi fosse rivolto l’invito, Riccardo fu il più vispo, si alzò si scatto, riscaldamento, e fu così che conobbe il respiro di San Siro .
Nasce il trio Zenga- Ferri- Bergomi, per molti quasi una riedizione della filastrocca della Grande Inter di HH, arrivano Matthaus e Brehme, lo scudetto con il Trap, la coppa Uefa nel ’91, poi quella del ’94. Quel successo europeo segnò la fine dell’avventura di Ferri all’Inter, in finale non doveva giocare era reduce da un infortunio. Ad una manciata di minuti dalla fine Giampiero Marini, suo vecchio compagno di squadra che aveva sostituito l’esonerato Bagnoli, lo mandò in campo per forza, per fargli sentire sua anche quella coppa.
Quello di Ferri per l’Inter era amore vero, di quelli che ti fa star male, niente a che vedere con i baci alla maglia in favore di telecamere esibiti oggi, gesti quasi sempre ruffiani, veri come una moneta da tre euro . Lo ricordava Mandorlini pochi giorni fa “ Io arrivavo da Ascoli, ero temprato, ero felice, mai in ansia ma nel tunnel prima di scendere in campo, giocatori come Bergomi e Ferri quasi vomitavano per il nervoso.”
Probabilmente il nervoso si scioglieva quando l’avversario di turno era il Torino. Dall’altra parte c’era suo fratello Giacomo, fin dal 1984 la sfida familiare caratterizzò gli scontri con i granata come i derby per i fratelli Baresi. Gente tosta, con l’amore per il consanguineo che in quei 90 minuti veniva dopo il rispetto della maglia. Prima di giocare contro non si parlavano, la mamma metteva candele a Padre Pio. Fino al 1988, quando i due si incontrarono sul terreno da gioco per l’ultima volta e Giacomo decise di salutare alla grande, andando proprio lui a segnare il gol del provvisorio vantaggio granata. L’unica volta in cui, viene da pensare, Riccardo non se la prese più di tanto per un gol subito.
Se la prende invece, e tanto, e pure a ragione, quando qualcuno gli ricorda il suo record in fatto di autogol. 8 in tutto, alla pari con Franco Baresi. Se sei un difensore e giochi più di 400 partite ufficiali in serie A ci sta, ma questo record, pur se condiviso con un altro grandissimo del calcio italiano, proprio non va giù.
Due di quegli otto episodi sfortunati arrivarono in partite importanti nel derby del 1987-88 con la Juventus nel 1994, con Walter Zenga sempre beffato dal compagno di squadra.
Un record celebrato anche da Ligabue, che dopo aver ricordato la vita da mediano di Oriali, ha citato proprio il record di Riccardo in “A che ora è la fine del mondo?” Un riferimento poco gradito dal diretto interessato, che qualche anno dopo sempre da Inter Channel mandò un sms, elegante ma deciso, al cantautore: “poteva anche chiedermelo in maniera delicata, essendo anche interista…”. 1 a 0 per Riccardo e palla al centro.
Ferri non ha mai girato la testa di fronte alle proprie responsabilità, ha vissuto i suoi successi e questi episodi sfortunati sempre con grande onestà intellettuale, riconoscendo la sua impulsività, la frenesia per fermare l’avversario. E nelle sue parole si legge il piccolo dramma di quei momenti: “Dopo un autogol mi sentivo un pò solo, anche se i miei compagni sdrammatizzavano, sapendo che il primo a capire l’errore è proprio l’interessato. Ma tutti sbagliano, anche chi pensa di essere infallibile.”
Anche perché c’è un altro record che Riccardo detiene e che ha sempre fatto scattare giustamente il suo orgoglio: “Vorrei che ci si ricordasse di me per un altro record che forse detengo e di cui nessuno parla. Al debutto in azzurro contro Malta, per le qualificazioni all’Europeo dell’88, segnai subito un gol“.
I record vanno e vengono, come i ricordi poco importanti. Nella memoria dei tifosi nerazzurri resta un solo record di Riccardo Ferri, suggellato dalle sue parole: “ho baciato solo quella maglia”. E questo nessuno potrà mai toglierglielo, visti i tempi neanche uguagliarlo. A noi importa solo questo.