Giocare nel club che hai sempre tifato, diventarne capitano. poi allenarlo e vincere uno degli scudetti più entusiasmanti della storia di quella società. Un privilegio spettato a pochissimi nella storia del calcio, uno dei quali è un signore nerazzurro, Giovanni Invernizzi, rimasto nella memoria dei tifosi meno giovani come il protagonista di un vero miracolo.
Altero ed elegante, come la famiglia di industriali caseari da cui discendeva (ecco perché il soprannome “Robiolina” formaggino di tendenza a cavallo tra gli anni ‘60 e ’70), Gianni aveva fatto tutta la trafila delle giovanili nerazzurre, iniziata nel 1945, quando per le strade si sentiva ancora l’odore delle bombe e delle macerie. Proprio per far tornare il sorriso sulle labbra dopo tante sofferenze il Provveditorato agli Studi di Milano aveva organizzato un torneo di calcio tra gli Istituti scolastici. Il Carlo Cattaneo, dove Invernizzi studiava, andò in finale contro il Feltrinelli. Nell’intervallo, qualcuno chiama Invernizzi da oltre la recinzione: “Come ti chiami? Dove giochi? Devi dire ai tuoi dirigenti di venire a parlare con me”. Carlo Carcano era stato l’allenatore della Juventus dei 5 scudetti consecutivi, poi era passato all’Inter. Quel ragazzino minuto di Abbiategrasso fu uno dei suoi primi acquisti.
L’esordio in prima squadra fu memorabile per quei tempi: 1949, l’Inter andò in tournee a New York, viaggio in nave da Le Havre. Oggi tournee come questa vengono vissute quasi con fastidio dai protagonisti, ma all’epoca era cosa da far accapponare la pelle, specialmente ad un ragazzo di 18 anni: l’America, i grattacieli, le auto già in fila, una cosa grandiosa solo a raccontarla
Fece addirittura in tempo a conoscere Giuseppe Meazza, anche se solo quando faceva l’allenatore. Gli piaceva allenare i portieri ma gliela metteva sempre al sette laddove non potevano arrivare. Giovanni gli chiese “Maestro ma a che serve fare così, se non la prende mai?” “ Se gliela butto vicino non è un allenamento e intanto tu guarda come calcio io”, rispose la star dell’epoca, solo apparentemente burbero, ma in realtà campione di modestia e disponibilità con i ragazzi.
Nell’Inter dei suoi tempi regnavano Wilkes e Lorenzi, Amadei e Skoglund, gente riguardo alla quale parlare di genio e sregolatezza non è giusto solo perché di regole (in campo) ce ne erano davvero poche. Ognuno faceva quel che sapeva e questi sapevano fare bene parecchio, quasi tutto, e con dei caratterini niente male. Con personaggi cos’ restare a galla non era semplice, per questo Invernizzi fu mandato in prestito prima alla Triestina, poi all’Udinese, proprio mentre i nerazzurri vincevano il sesto ed il settimo scudetto della loro storia, nel 1953 e nel ’54. L’anno dopo torna in nerazzurro, da mediano, come lo aveva impostato il tecnico della Triestina Perazzolo per 6 stagioni , due delle quali con la fascia di capitano al braccio. Non fu fortunato Robiolina, in prestito mentre l’Inter di Foni vinceva e giubilato da Helenio Herrera appena arrivato. Il suo palmares da giocatore non è ricco, ma il bello deve ancora arrivare.
La sua stagione più entusiasmante iniziò quando appese le scarpe al chiodo. Prima da osservatore, chiamato da Allodi, poi da responsabile del settore giovanile. Come talent scout vale la pena fare un solo nome: Tarcisio Burgnich. Invernizzi lo vide in un Venezia-Palermo, Tarcisio era stato scartato dalla Juventus e spedito in Sicilia. Dopo la sua segnalazione , Allodi e Moratti lo convocarono in sede, serviva un difensore centrale e si doveva decidere su chi puntare. All’appuntamento si presentò anche Helenio Herrera, con cui non correva buon sangue e che lo aveva inviato ad osservare un suo pupillo, un certo Facca. Quando Angelo Moratti chiese il da farsi, Invernizzi freddò HH sostenendo che Tarcisio valeva tre volte Facca. Qualche giorno dopo la Gazzetta annunciava Burgnich all’Inter. Invernizzi sudò freddo, ma la sua era stata la scelta giusta. E prima della roccia friulana, “Robiolina” aveva segnalato Aristide Guarneri, insomma mezza difesa della grande Inter degli anni ’60 l’aveva scelta lui.
Quando passò al settore giovanile, le cose non cambiarono. Lo ricordava lui stesso in una intervista a Inter Football Club: “Ebbi un grande successo: nelle mie squadre crebbero ragazzi come Bordon, Oriali, Bellugi. Ho dato cinque giocatori alla Nazionale, una ventina hanno giocato in serie A e quaranta/cinquanta in serie B».
Mentre da allenatore della Primavera sfornava campioni per la prima squadra, proprio questa dava i grattacapi più grandi a Fraizzoli. Era arrivato sulla panchina Heriberto Herrera, fresco di scudetto alla Juventus ma incapace di stabilire un legame forte con i senatori che avevano fatto le fortune dell’altro Herrera, quello vero. Corso non si capacitava di quanto dovesse allenarsi uno come lui, Bedin e Jair guardavano il campo con malinconia dopo essere stati fatti fuori senza tanti complimenti. L’annata 1970-71 era iniziata malissimo, la goccia che fece traboccare il vaso fu la sconfitta nel derby alla 5° giornata: 3 a 0 per i rossoneri e Inter nel baratro. Si parlò addirittura di Fraizzoli intenzionato a vendere, nel frattempo però il Presidente fece la cosa giusta, liquidò HH2 e chiamò alla guida della squadra Invernizzi.
Jair e Bedin tornano in gruppo, Burgnich viene spostato al centro della difesa al posto di Cella, a fare l’ultimo baluardo, il libero, come si chiamava allora. Corso, Mazzola e gli altri totem si sentono sollevati e ringiovaniti. Ma anche Invernizzi steccò all’inizio. Alla seconda partita della sua esperienza in panchina l’Inter a Napoli perse 2 a 1. Quella sera il Napoli sopravanzava l’Inter di 7 punti, il Milan di 6, ma mai una sconfitta fu foriera di fortuna come quella.
Il ritorno in aereo dalla Campania resta un momento scritto a caratteri cubitali negli annali nerazzurri. E’ durante quel volo che Mazzola e Facchetti buttano giù la tabella per riprendere il cammino verso il vertice della classifica. E da quel momento il campionato dell’Inter svolta. I nerazzurri non perdono più, rosicchiano punti su punti, i reduci della grande Inter prendono per mano i pochi giovani per costruire un amalgama formidabile, Boninsegna la buttava dentro anche tirando dal bagno di casa sua. La rincorsa è entusiasmante, il Milan nel frattempo aveva scavalcato il Napoli. E proprio il 7 marzo, nel derby di ritorno, Mariolino Corso decise che quello scudetto deve essere nerazzurro. Una foglia morta delle sue, l’assist per il 2 a 0 di Mazzola, una partita sontuosa del più geniale dei nerazzurri per arrivare a meno 1 dai rossoneri. Da lì in poi non c’è più storia, il Milan arranca col Vicenza e perde con il Varese a San Siro, l’Inter vola battendo il Napoli a San Siro, anche grazie ad una delle rarissime papere di Dino Zoff e la settimana dopo passa a Catania. Freccia, sorpasso e game over, con la sforbiciata di Bonimba contro il Foggia a mettere la ciliegina sulla matematica . A fine campionato saranno 4 i punti di vantaggio dell’Inter di Invernizzi, la Pazza Inter che ancora cantiamo tutte le domeniche nacque in quelle settimane.
Tutto qua Invernizzi ? Fermi tutti, provino anche i più celebrati di oggi a vincere uno scudetto subentrando a stagione iniziata, con le dirette concorrenti partite un mese prima e con uno spogliatoio di prime donne. Fermi tutti un’altra volta, perché l’anno dopo il sig. Gianni Invernizzi, senza tanti proclami come nella sua indole, portò quell’Inter ormai invecchiata alla finale di Coppa dei Campioni. A Rotterdam si trovò davanti l’Ajax di un certo Cruijff, di Neeskens, Krol, Haan e compagnia bella, alla seconda finale consecutiva. Non ci fu storia in quella finale, troppa la differenza con la vitalità ed il talento mostruoso dei giovani lancieri, ma AEK, Borussia Moenchengladbach, Standard Liegi e Celtic erano state costrette ad inchinarsi ai ragazzi un po’ attempati in nerazzurro.
Invernizzi era nato il 26 agosto del 1931. E’ mancato il 28 febbraio del 2005, dopo una lunga malattia e dopo una vita intera dedicata all’Inter. “Sono nato interista e morirò interista” disse poco dopo il trionfo nel campionato. Da tutti gli interisti, buon compleanno grande “Robiolina”.