Di quale giocatore parlare la settimana prima del derby se non di Nicola Berti? Se nessun altro giocatore ha toccato gli stessi indici di “sgradimento” in territorio rossonero un motivo, o anche più di uno, dovrà pur esserci. A chi è riuscito sentenziare “meglio sconfitti che milanisti”? Chi prendeva a pallonate Gullit e gli altri milanisti quando il riscaldamento si faceva tutti insieme in palestra , nella pancia di San Siro? E chi ha segnato alcuni gol che figurano ancora nella cartella clinica di migliaia di tifosi rossoneri, colpiti da malesseri improvvisi dopo aver subito pure gli sberleffi del goleador? La risposta è una e una sola, Nicola Berti, un meraviglioso cavallo pazzo che ha esaltato San Siro come pochi altri, un “bad boy” in campo e fuori, non un talento eccelso ma con un senso tattico ed una furbizia senza pari.
Berti era un atipico per quegli anni, qualcosa che andava oltre lo schema di calcio tradizionale. Oggi si chiamerebbe un incursore ma con una capacità di sradicare palloni dai piedi avversari degna di un incontrista di lusso e con la capacità di costruirci sopra dei gioielli, insieme ai compagni o mettendosi in proprio, costringendo le difese avversarie ad aggiungere un difensore per tenerlo a bada o comunque a organizzare contromisure adeguate a frenarne l’impeto. Un unicum sullo scenario della serie A di quei tempi, per quell’Inter che già aveva un certo Lothar Matthaus a rovinare i piani difensivi avversari oltre agli attaccanti di ruolo.
Il rapporto che San Siro aveva creato con questo ragazzo tanto sfrontato quanto generoso lo si capisce da un particolare. Quasi tutti, anche i tifosi più giovani conoscono oggi il coro dedicato a Diego Milito “e facci un gol, e facci un gol…” note che ancora risuonano al Meazza con “forza Inter” al posto del Principe. Ma pochi sanno che quando San Siro aveva due soli anelli, quel coro nacque proprio per Nicola, che qualche tempo fa lo ricordava alla Gazzetta dello Sport: “Impressionante, ancora oggi mi vengono i brividi. Cantavano “Nicola Berti facci un gol”. La mattina della finale d’andata di Coppa Uefa, 26 aprile 1994, mi sveglio a Vienna con in sottofondo quel coro. Pensavo di sognare, invece erano i tifosi sotto la finestra. E la sera ho segnato il gol vittoria contro il Salisburgo”. San Siro lo amava “perché Nicolino incarnava alla perfezione l’innata predisposizione bauscia a spararla grossa, era quel che si dice un perfetto “ganassa”,uno spaccone dalla simpatia contagiosa. Per lui è lì la festa, sempre e a qualsiasi ora”… Negli anni d’oro del Milan più berlusconiano di Berlusconi stesso, Nicolino era il baluardo contro lo strapotere rossonero, lo spauracchio da agitare di fronte al nemico per farlo innervosire, il fratello maggiore di tutti noi depressi e stanchi di non vincere. Ci pensa lui, segna lui, corre lui, li sfotte lui” fotografava perfettamente “Il Nero e l’Azzurro” nel giugno 2016.
Berti non giocava il derby, era il derby che era dentro di lui rendendolo ancor più tarantolato di sempre, immarcabile, capace di momenti rimasti scolpiti nella memoria nerazzurra. Vale la pena ricordarne alcuni con le sue parole.
19 novembre 1990 la Gazzetta titolava “Berti gioia dell'Inter“: Derby “in trasferta” vinto con un suo gol a 5’ dalla fine e sorpasso in classifica. «Stacco e tolgo la palla dalla testa del mio amico Serena su cross di Klinsmann. Baresi aveva il solito braccio alzato, quella volta per chiamare fuori il traversone. Mai uscita la palla. Ho salutato la Curva del Milan e mi sono messo a piangere»
10 aprile 1993: Nick lo ha ricordato così un paio d’anni fa a Inter TV: “Feci tunnel a Costacurta e Baresi mi tirò la palla addosso, io mi incazzai come una bestia. E presi l’ammonizione poi andai all’ala perché c’era la punizione per noi. Sosa prese la palla e incominciai a mettermi le mani dietro la schiena come Michael Jordan con la lingua fuori, così come un cretino. Me la sentivo e dichiarai adesso vi faccio un gol. E glielo feci”.
15 aprile 1995, forse il gol più bello che però non compare negli annali del calcio. Una saetta al volo impressionante, che battè sotto la traversa, carambolò sulla nuca di Sebastiano Rossi e di lì in porta. Autogol recitano le fonti ufficiali. A Berti non è mai andata giù: “Avevo quasi convinto la Gazzetta che fosse mio il gol”.
Al di là dei derby c’è un’immagine di Nicola che dal novembre 1988 è rimasta nelle videoteche della RAI e di tutte le altre televisioni d’Europa che si occupano di calcio. 10 secondi circa che riassumono la storia e la vita di un giocatore per sempre. 7 tocchi, per portare la palla dal limite dell’area nerazzurra fin nel cuore di quella del Bayern, con i tedeschi che arrancavano dietro a questo mostro che correva e correva e saltava tutti, con Bruno Pizzul che ripeteva come in trance Berti… Berti…Berti, fino allo scavetto prezioso per superare Aumann ed andare poi ad inginocchiarsi sugli striscioni dei tifosi nerazzurri distesi dietro la porta tedesca.
Era arrivato all’Inter nel 1988 dalla Fiorentina, Pellegrini si mise le mani in tasca e cacciò oltre 7 miliardi per portarlo a Milano. Quel giorno finì l’antico gemellaggio tra i tifosi nerazzurri e quelli viola, quello scippo non fu perdonato e ancora oggi in curva Fiesole i nerazzurri non sono troppo amati. Si capì subito che il ragazzo voleva “vivere” la metropoli ad ogni ora del giorno e della notte, fino in fondo. Erano gli anni della “Milano da bere”; Nicola ne divenne un protagonista indiscusso, quasi un emblema.
Lo Zio Bergomi, all’epoca 25 enne ma con la saggezza di un veterano lo ammonì: “Nicola, nel tempo libero puoi fare quello che vuoi. Ma se non ti presenti al top fisicamente in allenamento, il gruppo ti farà fuori”. Ma poco fa abbiamo parlato della furbizia di Nick, che non si è mai nascosto:“Non è che non facessi cazzate. Ne facevo eccome… solo che alla fine non mi beccavano mai. O comunque: finché corri, nessuno si porrà mai troppo il problema”.
Se ne andò dall’Inter dopo 10 anni quando arrivarono Simoni e Ronaldo. Fece una bella stagione al Tottenham, salvando gli Spurs dalla retrocessione con i suoi 7 gol e diversi assist. Anche a Londra il suo ricordo è rimasto vivo, anche a Londra non si è smentito, come ha raccontato un paio di mesi fa in una intervista a Fabrizio Biasin : “io vivevo a Fulham Road, a Londra, ma il campo di allenamento del Tottenham era a un' ora e mezza dal centro e l’allenatore, Graham, voleva che andassi a vivere lì. Cioè, vengo a giocare a Londra per andare a vivere in campagna?». Una puntata di pochi mesi nel campionato australiano e poi il meritato riposo, dopo una carriera tutta di corsa. Dove? Ai Caraibi naturalmente per uno come lui, isola di St.Barth, tra campi da golf e mare da favola. Alcuni anni lì, poi il richiamo della foresta si fa forte, torna e collabora tutt’oggi con l’Inter.
Amato alla follia o odiato, Nicola Berti non è uomo che suscita mezze misure. Chi non lo ha avuto con sé, chi non lo ha mai visto giocare potrà dire ciò che vuole, noi siamo quelli che lo hanno visto correre per quei 10 secondi a Monaco. In quegli istanti abbiamo corso tutti con lui, e ancora dobbiamo smettere…