Lunga intervista rilasciata da Walter Zenga alla Gazzetta dello Sport. L'ex portiere nerazzurro ha svariato tra diversi argomenti. Dal momento di Lukaku fino a cosa può ambire questa Inter, passando per il derby e per la questione relativa allo stadio, fino al sogno di sedere un giorno sulla panchina dell'Inter.
Sicuro che l’Inter non debba preoccuparsi dopo il match di Champions?
«Sicurissimo. In questo periodo si gioca molto, ci sono stati pure gli impegni con le nazionali, scontato che si possano vivere dei momenti di difficoltà. E poi lo Slavia Praga non aveva nulla da perdere e ha giocato un match fantastico».
Ha ragione Conte ad arrabbiarsi?
«Ha detto bene Antonio, la prestazione sarebbe stata considerata negativa anche in caso di vittoria. Ma credo che faccia parte del processo di crescita di una squadra nuova, ci sta ogni tanto di sbagliare la partita. Dico di più: anche dopo le partite con Lecce, Cagliari e Udinese Conte avrà avuto sicuramente qualcosa da ridire e l’avrà detto alla squadra. Ma certo è più facile farlo dopo una vittoria…».
Qual è il vero Lukaku?
«Sul belga dico solo che mi fido di Conte, ovvero di un tecnico che è arrivato a desiderare questo centravanti così tanto, chiedendolo a tutti i costi. E se l’ha fatto, è perché intravede in lui il terminale ideale per far gol e per dare fisicità alla squadra. Questo è un limite della squadra, mancanza che proprio Lukaku può aiutare a colmare. L’Inter ha cambiato tantissimo, ma quel che più mi piace va oltre il campo».
Ovvero?
«Gli inglesi la chiamano “consistency”. Tanti cambiamenti che vanno nella stessa direzione: il centro sportivo, la nuova sede, la comunicazione. È un processo che durerà a lungo. E che mira a costruire qualcosa di duraturo, restando al vertice per diversi anni e non puntando il singolo obiettivo».
Vuol dire che non dobbiamo aspettarci un’Inter da scudetto già in questa stagione?
«No no, altroché. L’Inter può lottare per il titolo da subito, anzi sono convinto che lo farà fino in fondo. Guardi, lo si capisce dalle piccole cose. Difficilmente vedremo fare all’Inter delle prestazioni eccezionali. Ma lo spirito è diverso, il progetto è vincente. E non a caso Conte ha firmato per tre anni».
Ok. Però se andiamo dietro ai luoghi comuni, allora il Milan che è più in difficoltà vince il derby?
«Ehmm… chi è più in difficoltà? (ride, ndr). Scherzi a parte: il derby resta una gara particolare, sono convinto che pesi più di tre punti che può regalare in classifica. Ma ora l’impatto emotivo è molto annacquato rispetto al passato, con tanti stranieri in campo».
Lei come la viveva, la vigilia del derby?
«Ricordo l’avvicinamento alla partita gomito a gomito con i milanisti. C’era il ritrovo di via Veniero prima del ritiro, due bar diversi, uno per l’Inter e uno per il Milan. Così capitava che prima di andare alla Pinetina in edicola ti trovavi con un giocatore avversario. E poi il riscaldamento davanti allo spogliatoio, mica dentro il campo come adesso: Berti tirava pallonate a destra e sinistra, chi lo dimentica».
I suoi derby del cuore.
«Il mio primo, 1983, vinto 2-0: segnò Hansi Muller. E poi l’1-0 di Minaudo. Ma quello a cui tengo di più è quello del 1988: il mercoledì avevamo perso col Bayern 3-1 in casa, in Coppa Uefa. La domenica battemmo il Milan, 1-0 gol di Serena: che grande reazione, che grande squadra».
Ora però San Siro lo demoliscono…
«C’è il cuore e la ragione, non riesco a scegliere. C’è il sentimento per un luogo che vuol dire passione. Ma poi quando il giri il mondo ti accorgi che si va avanti, che si deve andare avanti: ho visto coi miei occhi lo stadio del Manchester City, del Tottenham, del Besiktas, incredibili».
Qualcuno dice: l’Inter sta cambiando il suo dna. È d’accordo?
«Qui se c’è qualcuno che può parlare di dna nerazzurro sono io eh… Non so perché sia stato tolto l’inno Pazza Inter, non l’ho capito onestamente, però sicuro ci sarà stato un motivo condivisibile che non conosco. A me però la canzone piaceva, devo essere sincero: direi che emozionava».
Da fuori: ha capito cosa è accaduto con Icardi?
«Non entro nel merito. Ma la società ha sposato una linea che va oltre la questione tecnica – anche perché altrimenti non si sarebbe rinunciato a un attaccante da oltre 20 gol a stagione – ed è riuscita a portarla a termine a ogni costo. E’ stato così non solo per Mauro, ma anche con Nainggolan e Perisic. E tutto sommato un po’ più di tranquillità social non fa male all’Inter».
C’è ancora quell’1% in fondo al cuore di allenare un giorno l’Inter?
«I sogni non costano niente nella vita, no? Credo di aver dimostrato molto nella mia carriera: ho fatto bene con Stella Rossa e Steaua Bucarest, negli Emirati Arabi, al Wolverhampton ancora mi invitano e mi acclamano nonostante sia stato lì solo pochi mesi, alla Sampdoria sono stato esonerato quando ero al nono posto in classifica solo perché in quel momento c’era libero Montella, peccato che poi la Samp ha rischiato la Serie B. Chapeau a Giampaolo, che pur di ripartire è sceso anche in Serie C. Di me non so perché si ricordano solo gli esoneri. Ma mi chiamo Zenga».