Inter, Walter Zenga, l’Uomo ragno nacque da un’ autoradio
Il ragazzo di Viale Ungheria che da piccolo sognava solo l’Inter, diventato simbolo della Milano anni ’90 e Uomo Ragno non tra i pali del Meazza
Nel 1992 veniva da tre anni come miglior portiere del mondo, quella mattina invece veniva chissà da dove, sulla sua decappottabile e con i Ray Ban d’ordinanza calati sotto al ciuffo. Ad Appiano Gentile lo avevano visto arrivare centinaia di volte in quel modo, ma quel giorno c’era una valanga di giornalisti ad attenderlo.
I social non c’erano ancora, le notizie correvano sui pochi cellulari in circolazione. La domanda che aleggiava davanti alla Pinetina era solo una: che faccia avrebbe fatto Zenga alla notizia che Arrigo Sacchi non lo aveva convocato per la Nazionale? Quando arrivò al cancello e seppe, Walter sorrise amaro e alzò a palla l’autoradio: “hanno ucciso l’uomo ragno” cantava Max Pezzali, interista pure lui. Zenga “Uomo Ragno” nasce così, non per una parata strepitosa ma per una delle tante ingiustizie con cui si è scontrato in decenni di calcio giocato o allenato.
Fabrizio Biasin, nelle 10 leggende sul portierone scritte nel 2018 ha detto che la sua prima parola non fu “mamma” ma “Peppino Pisco”. Forse non è vero, anzi di certo non lo è. E’ vero invece che Walter falsificò la sua data di nascita su un documento per iniziare a giocare alla Macallesi, il top club dell’epoca per ogni fanciullo milanese nato nella zona di Viale Ungheria.
L’unico falso della sua vita, affrontata andando sempre avanti, come fanno gli squali, qualunque fosse l’ostacolo che gli si frapponesse, coraggioso e presuntuoso, sfrontato e folle, tra i pali o in mezzo alla gente, senza mai riguardarsi a dire la sua, senza fronzoli, spesso urticante per le sensibilità falsamente delicate di colleghi e giornalisti.
E’ stato uno dei simboli della Milano imperante per dinamicità e gossip a cavallo degli anni 80 e 90, una città che aveva la voglia di andare oltre righe ogni giorno e soprattutto ogni notte e dunque habitat perfetto per chi come lui se ne fotteva alla grande del conformismo che dilagava. “Una vita passata a dire e fare quel che gli altri non si aspettano, fregandosene dei giudizi benpensanti con l’aria spavalda di chi, anche dalle cadute, sa trarre vantaggio”.
Gli italiani non interisti fanno di tutto ancora per ricordarlo solo per il gol preso da Caniggia nella semifinale mondiale di Napoli. Solo Maradona lo difese, perché Caniggia era riuscito ad anticipare la sua idea di anticipare lui. Qualcuno negli anni successivi avrebbe preteso le scuse da Walter, senza però chiederle allo stesso tempo a Vialli che pochi minuti prima aveva sbagliato un gol a due metri da Goycoechea, o a Baggio per il rigore sbagliato nella finale americana, o al pubblico del San Paolo, per aver tifato contro gli azzurri. Walter non era uomo da scuse, la parte della vittima non faceva per la sua indole.
La gente nerazzurra invece si è goduta Zenga a pieno, ubriacandosi di lui, del suo talento, della sua sfacciataggine, del suo interismo totale e incontrollato, nel bene e nel male. Nel 1994 il suo periodo d’oro stava finendo, anche i tifosi lo contestavano duramente, fino a sfiorare la rissa ai primi di febbraio, quando Pellegrini chiuse con Bagnoli e chiamò al capezzale di una squadra in lotta per non retrocedere Giampiero Marini.
Non poteva finire così la storia dell’Uomo Ragno con la squadra della sua vita. 3 mesi dopo, nonostante le assurde difficoltà in campionato, l’Inter si giocò la finale di Coppa Uefa contro il Salisburgo. Nel ritorno c’era da difendere il gol di Nicolino Berti segnato in Austria, ma prima del gol liberatorio di Jonk, Zenga ci mise del suo, parando tutto il parabile ed anche di più. In quelle ore Pellegrini aveva già sistemato le carte, le firme, i soldi: Walter era della Samp, a Milano stava arrivando Pagliuca. Walter sapeva, anche per quello giocò quella partita stratosferica. Non lo sapevano invece gli 80 mila di San Siro, gli stessi che poche settimane prima lo infamavano si alzarono in piedi per tributare a quella stella ancora lucente l’ovazione più bella, l’ultima, “Zenga, Zenga, c’è solo un Walter Zenga”.
Da quel giorno l’Uomo ragno è tornato sotto la sua curva diverse volte, tra i pali e sulle panchine. L’emozione di riaverlo lì è stata grande sempre, ma mai come l’anno scorso, quando venne a San Siro con il suo Crotone pericolante a strappare con i denti un pareggio d’oro per i suoi e due punti preziosi per la Champions dei ragazzi di Spalletti. Quella sera il Meazza lo sollevò da terra con il suo calore, lo fece sentire di nuovo quel figlio di Viale Ungheria che aveva realizzato il suo sogno più immenso. E lì si sciolse anche la corazza di uomo duro di Walter, commosso dal tributo di affetto della sua gente fino a far scivolare una lacrima su quell’erba che aveva respirato per anni . Quei due punti Walter trovò il modo di restituirli in qualche modo poche settimane dopo, rovesciando allo Scida la Lazio e mettendo nelle mani dei suoi ex l’ultima carta insperata per andare a prendersi la Champions proprio all’Olimpico. Lì la prese Vecino, ma sulla testa gliela aveva messa l’Uomo ragno.
Ci sono due tecnici che non hanno mai allenato l’Inter ma che ne parlano spesso, Zenga e Diego Pablo Simeone. Il palmares del Cholo vince facile su quello del rivale, che in una immaginaria disputa, potrebbe però rispondere che se si misura l’amore con gli anni di permanenza in nerazzurro non c’è partita. (12 a 3). Un ipotetico giudice dovrebbe andare a scovare ben altro e allora si che l'Uomo ragno vincerebbe per distacco . In una intervista alla Gazzetta di qualche anno fa, Walter ha rivelato un particolare del suo modo di vivere la professione, sorprendente fino ad un certo punto: “La clausola Inter sarà riproposta in tutti i miei contratti. Clausola Inter? Non ci vuole molto. Se l’Inter dovesse chiamarmi, sono libero di andare. Mica è un segreto che sogno un giorno di chiudere il cerchio e tornare al mio club per allenarlo.” 1 a 0 per l’Uomo Ragno. E nella stessa intervista ricorda un aneddoto strepitoso: “Col Gaziantepspor andiamo a giocare allo stadio di Istanbul, e all’appello l’arbitro si prende una bella arrabbiatura con noi. Perché? Anziché guidare la squadra quel pirla dell’allenatore è in campo a farsi fotografare nella porta in cui il Liverpool, una sera del 2005, segnò tre gol…”. Gioco partita e incontro per l’Uomo ragno.
Fonti: Zona Cesarini gennaio 2018, Storie di Calcio “Zenga, l’uomo ragno non muore mai”, Gazzetta dello Sport