In occasione del decennale della conquista della Champions League, la Gazzetta dello Sport ha intervistato José Mourinho, il condottiero di quella cavalcata diventata poi leggenda. Di seguito sono riportati alcuni estratti.
Mourinho: un allenatore sentimentale
“In carriera ho dato il meglio quando mi sono sentito a casa, dove sono stato al duecento per cento con il mio cuore: più una persona che un allenatore. A Madrid ero più felice di vivere la felicità degli altri – da Moratti ai magazzinieri – della mia stessa felicità: io avevo già vinto una Champions. All'Inter non ho mai pensato prima a me che agli altri: questo succede in una famiglia.”
La svolta di Kiev e la finale di Roma
“Kiev è stata decisiva per la Champions: all'85' eravamo fuori, se cambi il tuo destino in quattro minuti è sempre un momento chiave. Anche la finale di Roma è stato un momento chiave: la Champions era il sogno, lo scudetto un obbligo, vincere la Coppa Italia è stato come dire: “Una è andata, passiamo alla seconda”. Quella finale di Coppa Italia non la volevo giocare: prima della partita c'era l'inno della Roma, arrivai a dire che ce ne saremmo andati se non avessero tolto la musica”
La nascita della Champions
“La Champions dell'Inter è nata a Manchester nel 2009, perché quel giorno ci siamo detti con chiarezza che la qualità della squadra bastava per vincere lo scudetto, ma non per alzare la Coppa. Dovevamo cambiare qualcosa tatticamente: i giocatori erano tristi, mentre io, Moratti, Branca e Oriali eravamo già a parlare di linea difensiva più alta, dei profili che ci servivano e di chi poteva restare.”
L'Inter perfetta
“L'Inter del Derby vinto 4-0 fu vicina alla perfezione: gol pazzeschi, controllo totale, quel Milan distrutto anche psicologicamente. Ma la partita simbolo fu quella di Madrid, perché l'abbiamo vinta prima di giocarla, e non è normale che in una finale di Champions tutti, non solo l'allenatore, sentano così forte di avere tutto sotto controllo.”
La notte del Triplete
“Non tornai a Milano perché se fossi tornato, con la squadra e i tifosi che avrebbero cantato “José resta”, forse non sarei più andato via. Non avevo già firmato con il Real, è una cazzata. Io volevo andare al Real, avevo già detto no due volte ai madrileni, e non puoi dire di no tre volte a quel club. Oggi forse potrei stare 4-5-6 anni in un club, ma all'epoca volevo essere il primo.”
Questi sono solo alcuni estratti della lunga intervista rilasciata dall'allenatore portoghese. L'edizione integrale è disponibile sulla Gazzetta dello Sport in edicola questa mattina.