Il mondo è bello perché è vario o forse perché è avariato, come qualcuno suggerisce. Un evergreen buono in tutte le occasioni, tanto più quando si parla del binomio carta stampata-calcio. Fino all’altro ieri i tifosi interisti si sono dovuti sorbire le ironie più cattive sull’acquisto di Eriksen. Prima del lockdown aveva giocato un paio di partite dal primo minuto più qualche spezzone. Un gol in Uefa League, una traversa su una punizione clamorosa nel derby, poca roba per uno come lui arrivato con i crismi del fuoriclasse. Le cateratte dell’inferno si erano aperte subito, un bidone, uno venuto in Italia a svernare, uno che con l’Inter di Conte c’entra come il cavolo a merenda. I pochi che dicevano di aspettare un attimo perché l’inserimento negli schemi del mister nerazzurro non è mai semplicissimo arrossivano di fronte alle reazioni del pensiero dominante.
Fino a sabato scorso. Quando è bastato un gol direttamente da corner un po’ fortunoso ma di quelli che stuzzicano la fantasia, un ottimo primo tempo perché giocato nel suo ruolo, dietro le due punte, una ripresa passabile anche se penalizzata dal ritorno indietro a centrocampo et voilà, per stampa e Tv il brutto anatroccolo torna ad essere un illuminato e illuminatore, il nuovo acquisto fondamentale per il finale di stagione nerazzurro.
Percorso esattamente contrario a quello fatto tra le righe dell’inchiostro da Lautaro Martinez. Prima celebrato come il crack del futuro, il condottiero dell’Inter del futuro insieme a Lukaku. Ora sventolato come il “problema”, il “caso Lautaro”, con i titoli lanciati come ami cui abboccare, “è dal 26 gennaio che non va in gol”. Dove doveva segnare, alla Play Station? E uno a caso, Higuain è dal 15 gennaio che non vede la rete ma per l’informazione sportiva è diventato un caso per il covid non per la sua allergia al gol. E nessuno che dica che Lautaro proprio quel 26 gennaio contro Cagliari, fu espulso a una manciata di secondi dal termine. 2 giornate di squalifica che hanno ridotto le sue presenze a due in campionato più uno spezzone con il Ludogorets. Ai tempi della guerra fredda la chiamavano “disinformatja”.
Giornalisti (ma anche tanti tifosi) che organizzano tour dalle stelle alle stalle e viceversa, senza sapere, senza capire, senza informare, a meno che non si tratti del vitel tonnè preferito da Ronaldo. Poi si lamentano se i quotidiani sportivi perdono il 40% delle vendite…