Pare un po’ a tutti che Zhang, con l’impero Suning alle spalle, possa fare sul serio per portare Messi all’Inter. Il tamtam sul fuoriclasse del Barcellona è quotidiano. Le quote degli allibratori, circa un possibile approdo sul Naviglio del giocatore più forte del pianeta, sono in calo costante. Messa così, questa storia estiva, che sta consumando fiumi di inchiostro, ha in realtà più i connotati del sogno. Assume più i caratteri delle cose impossibili che, con una serie infinita di incastri, potrebbero diventare possibili.
Messi, arrivato a Barcellona che era poco più di un pargolo, è stato accolto alla Masia come un re degno di venerazione. Come un Gesù moderno capace di fare miracoli in campo e deliziare le folle. Quando il suo talento inizia a vacillare, per via di una forma di nanismo che lo colpisce in tenera età, tutti tremano. A Barcellona, però, dove sanno vedere bene le qualità straordinarie della Pulce, si impegnano e fanno le cose per bene. Si accollano le spese mediche e affidano il virgulto ai migliori specialisti. Lo curano, lo coccolano, lo adorano, come i Magi con il Nazareno e alla fine gli restituiscono il suo regno. Il piccolo Lionel può continuare a dispensare sorrisi, strappare applausi e nutrire le anime insaziabili del calcio di bellezza e perfezione. Il resto lo conosciamo: 20 stagioni a Barcellona, sei palloni d’oro, sette campionati spagnoli, sei Champions, svariate scarpe d’oro e fermiamoci qui perché l’elenco è lungo e arcinoto.
Va detto che l’Inter non è in grado di sborsare 500 milioni per portare Messi a San Siro. La cifra totale di cui si parla è più o meno questa. È probabile però che al nostro pallottoliere sfuggano dati e situazioni che conoscono solo in famiglia. Il tifoso interista, il maggiore esemplare dei disillusi, non ci crede tanto. Anche se, in ossequio allo spirito altalenante e ai picchi di ottimismo di cui è affetto in certi frangenti, in cuor suo ci spera sempre. Ma sottovoce, senza darlo ad intendere a nessuno. La possibilità di vedere Messi che viene in Italia per sfidare per l’ennesima volta Ronaldo è stuzzicante. Anche la FIFA sarebbe contenta e ne trarrebbe vantaggi innegabili. Le televisioni, poi, avrebbero il loro “Alì-Foreman”, in una riedizione pallonara del celebre “The Rumble in the Jungle”. Messi all’Inter conviene a tutti, anche a lui che avrebbe l’opportunità di dare nuova linfa e vigore a una carriera già stellare e inarrivabile.
Il calcio è approdato ormai definitivamente a una nuova fase: quella del branding. Ogni azione messa in campo risponde alla precisa volontà di creare l’immagine desiderata nella mente del consumatore. In questo caso il consumatore è il tifoso. Questo processo, che non ha più carattere locale, si estende su scala planetaria. Acquistare Messi, dunque, non sarebbe solo un’operazione tecnica validissima, ma significherebbe diffondere in tutto il mondo e fra tutti gli sportivi i valori che la società incarna e la sua storia. Legare il nome di Messi a quello dell’Inter – così come a quello di qualsiasi altra squadra – vuol dire decuplicare la portata e l’efficacia della penetrazione del messaggio da veicolare. Significa fare breccia nel cuore di tifosi e appassionati, non solo attuali ma potenziali. Ed è questa la vera sfida. Perché Messi è il segno distintivo più riconoscibile nel calcio. È un’icona identificativa del calcio. La più identificativa di tutte.
È evidente come l’operazione, che in sé appare fuori da ogni logica razionale, è la pista che un gruppo come Suning non può ignorare se i progetti sono quelli di portare l’Inter allo stesso livello della grandi d’Europa. Messi, dal canto suo, che con il fisco spagnolo ha avuto un rapporto burrascoso, valuta la soluzione italiana come appetibile sotto il profilo della minore tassazione da versare all’erario. La vicenda è abbastanza complicata. Zhang però ci ha messo del suo con quell’immagine proiettata sul Duomo come spot per Inter-Napoli sulla la sua TV in Cina. In questa estate già anomala per via del Covid, con partite che si giocano anche con l’80% di umidità, qualcosa di altrettanto anomalo potrebbe accadere. L’intrigo sul numero 10 solletica, la prospettiva di vederlo in Italia non è un’idea bislacca. Ed è, soprattutto, un segno inequivocabile: l’Inter – semplicemente accostandosi all’asso argentino – sta gridando a tutti che sta tornando.
Da quando il marketing, le TV, le sponsorizzazioni e le politiche di branding dettano l’agenda, l’aura di romanticismo che dalla sua fondazione ha avvolto il calcio si è un po’ persa. Dissolta in nome dei bilanci, dei conti e del business. I tempi, senza giudicare se quelli del passato siano migliori o peggiori, sono cambiati. Il calcio si adegua e si trasforma. Ma una cosa non cambierà mai e Suning lo sa: il legame affettivo che lega i tifosi alla squadra. Messi, allora, sarebbe la leva per collegare sentimenti ed emozioni al brand Inter e farlo levitare in maniera esponenziale. Qualcuno dirà: “Sì, ma stiamo parlando solo di calcio”. Sì, ma Messi è il calcio.