Negli ultimi giorni il mondo del calcio italiano sta dibattendo – o meglio, sta litigando – in merito alla partita non disputata tra Juventus e Napoli. Da un lato i pro-protocollo che addossano al Napoli e all’ASL Campania la colpa di non aver rispettato quanto stabilito in precedenza in maniera convenzionale, dall’altro i pro-ASL, che ritengono giustificato l’intervento dell’azienda in merito alla decisione di non far partire i calciatori degli azzurri per Torino – si ricordi come il Napoli la settimana precedente affrontò il Genoa colpito da tantissimi casi di Covid-19 tra calciatori ed altri tesserati -.
La domanda che sorge spontanea è: chi ha ragione? Ed è qui che viene il bello, perché la risposta non è affatto scontata. La Juventus dal canto suo ha rispettato perfettamente quelle che sono le regole stabilite da parte dell’UEFA per le competizioni europee di Champions League ed Europa League, applicate anche in Serie A – si tratta della regola per cui, se una società ha 13 calciatori schierabili in rosa, quella società deve scendere in campo -. Dall’altro lato il Napoli che, al netto delle illazioni di alcuni secondo cui sarebbe stato il presidente De Laurentiis a fare pressioni sulla ASL, ha rispettato allo stesso modo la norma secondo cui al protocollo sono “fatti salvi eventuali provvedimenti delle Autorità statali o locali”.
Quindi? Quindi la risposta sembra essere sempre la stessa: l’inadeguatezza delle istituzioni calcistiche, ed in questo caso la Lega Calcio, che usando un po’ di buon senso, e conoscendo i fatti antecedenti a Juventus-Napoli, avrebbe potuto tranquillamente rinviare la partita senza creare questo cortocircuito istituzionale che, pure, mostra tutte le sue falle e le sue contraddizioni.
Altro fattore che sta facendo discutere in questi giorni è la partenza dei calciatori per le nazionali. Si vedano, infatti, che dai ritiri delle nazionali sono cominciati a venir fuori i primi casi di calciatori positivi a tampone – per ultimi i portieri dell’Ucraina che hanno costretto il ct Shevchenko a convocare il preparatore come secondo portiere, Dirar del Marocco, Alessandro Bastoni con l’Under 21 italiana -.
Sembra ovvio come la scelta – da parte dell’UEFA – di far giocare le partite ai calciatori, coinvolgendo anche gli staff, con le rispettive nazionali, non sia stata, anche in questo caso, una decisione di buon senso. Soprattutto perché coinvolgere calciatori e staff in lunghi viaggi che potrebbero portare al rischio di contagi potrebbe, successivamente, colpire le competizioni nazionali che coprono il più della stagione sportiva.
Insomma, c’è poco da fare: a questo punto parlare di sport sembra essere un qualcosa di caricaturale. La retorica del calcio come arma adatta “allo svago delle persone sfinite dalle limitazioni da Covid” non regge più. Piuttosto bisogna guardare in faccia la realtà e dire che il prosieguo delle competizioni ha solo una funzione, quella economica, che coinvolge più componenti. Per carità, scelta su cui si può discutere. Ma sarebbe ora che a dire questo siano le istituzioni, al posto di nascondersi dietro ad un dito.