Inter, Conte e la rigidità tattica costata il derby. Spalletti e l’Interismo costato la panchina. Analisi di momenti nerazzurri
Sette punti in quattro partite e peggior avvio di sempre da quando allena. Basterebbero questi numeri per aprire un mini processo alla seconda stagione nerazzurra di Antonio Conte. Nessun allarmismo, siamo solo all’inizio, ma ci sono malumori che partono da molto lontano. La nuova versione di Conte – nel post partita – convince ancora meno della prima. Atteggiamenti che, sicuramente, sono figli di accordi con la dirigenza. Meglio un Conte calmo, pacato e poco incline alla polemica di quello della scorsa stagione, spesso pronto ad attaccare i vertici societari.
Ma i problemi restano – soprattutto in campo – e la rigidità tattica di Conte non aiuta di certo. Pensare di annullare il Milan con una difesa a tre poggiata su due esterni – D’Ambrosio e Kolarov – è utopìa. Quando poi bisogna contare su Perisic in copertura – calciatore votato all’attacco – i rischi aumentano. Conte avrebbe forse potuto essere più elastico ed affidarsi ad un più razionale 4-3-1-2 con Eriksen alle spalle delle punte e Perisic – Sanchez non stava bene – pronto a subentrare a partita in corso. Facile dal divano di casa, dirà qualcuno. È vero, non siamo allenatori, e nessuno si permette di dare suggerimenti a Conte. Si tratta di un allenatore vincente, preparato, carismatico, tra i migliori d’Italia. Ma, volendo citare Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea e la risposta – aggiungiamo noi – arriverà di conseguenza.
Perché è stato preso Conte? Per vincere un titolo. In caso di zero tituli, come diceva l’indimenticabile Mourinho, Conte avrà fallito? Naturalmente, visto che il secondo – a detta dell’allenatore – è il primo dei perdenti. A questo punto è necessario analizzare l’eccellente lavoro di Luciano Spalletti, non un semplice allenatore, ma un maestro di calcio. Spalletti aveva ereditato l’Inter in condizioni difficili. Un gruppo alla ricerca di se stesso, uscito malconcio dalle gestioni De Boer – Pioli. Spalletti ha trasformato il gruppo in squadra compatta, coesa, e l’ha riportata in Champions League al primo colpo. Durante la seconda stagione ha dovuto fronteggiare questioni complesse di spogliatoio e l’ha fatto mettendoci sempre la faccia, dimostrando a tutti quanto fosse legato all’Interismo. E qui, un’altra domanda sorge spontanea: Spalletti meritava, per quanto dimostrato, la riconferma? Assolutamente sì. Spalletti ha centrato una duplice qualificazione in Champions League senza Godin – sbolognato al Cagliari con troppa leggerezza – Young, Sensi, Barella, Vidal, Eriksen, Hakimi e Lukaku. C’erano Joao Mario, Cedric Soares, Vrsalijko e Icardi, con tutte le problematiche che la sua gestione ha comportato. Bravi calciatori ma differenti rispetto allo squadrone a disposizione di Conte. Che, ricordiamolo, ha ereditato una squadra in Champions League. Quella competizione in cui, mercoledì, sarà vietato fallire. In campionato il terreno può essere recuperato, in Europa un passo falso equivale all'oblìo. Remember Slavia Praga? Cose note, ma come dicevano i latini, repetita iuvant.