Inter, Conte come Giulio Cesare, tradito dal pupillo Vidal. Nerazzurri a picco in Champions

Tu quoque, Vidal, fili mi! 

Dev'essere stata più o meno questa l'espressione di Antonio Conte quando ha visto Arturo Vidal, suo pupillo – l'uomo che l'allenatore salentino schiererebbe addirittura in porta – uscire dal campo per un'espulsione cercata, voluta, ingenua. Neanche Vidal fosse l'ultimo dei pivellini, il pulcino esordiente. Macché, Vidal è l'uomo che Conte ha preteso per compiere il salto di qualità sia in Italia, sia in Europa. Un salto c'è stato, ma nel buio. Surclassata a centrocampo, dominata da un Real Madrid sempre competitivo ma alle prese con numerose assenze. A spiccare su tutte, quelle di Sergio Ramos e Karim Benzema. È tutta qui l’Inter, involuta e spaurita rispetto alle sicurezze faticosamente acquisite al termine della scorsa stagione. Altalenante il cammino in campionato, dove solo alcune vittorie hanno occultato le tante magagne difensive e i limiti nella fase impostazione. A primeggiare è un possesso palla spesso sterile e fine a se stesso. Pessimo quello in Champions League, praticamente giunto al capolinea dopo sole quattro partite. In un girone assolutamente abbordabile dove l'Inter non è stata capace neanche di espugnare il poderoso fortino dello Shakhtar, ridicolizzato dalle dieci pappine rifilate in due partite dal Moenchengladback. Inutile, a questo punto, alimentare flebili speranze. A preoccupare non è soltanto l’involuzione della squadra, ma anche l'atteggiamento dello stesso Conte, che sembra aver smarrito quello sguardo battagliero che lo ha sempre contraddistinto ed accompagnato in ogni sua avventura professionale. Le sue dichiarazioni al termine dell’imbarcata contro il Real Madrid sono apparse banali, per nulla esaustive e figlie di una rassegnazione di chi sembra non sapere più quali pesci prendere. 

L’Inter continua a racimolare ceffoni con una facilità disarmante. Troppe le reti incassate, anche da squadre lontane dai fasti del Real Madrid. Ultimo esempio, il Torino privo di parecchi titolari nell'ultimo turno di campionato. Campanelli d’allarme che non possono essere ignorati, ma che vanno ascoltati con estrema attenzione. Conte parla di lavoro e di tempo, ma dovrebbe sapere che il tempo stringe e che la pazienza si riduce gara dopo gara. Forse ha dimenticato di essere stato selezionato per vincere qualcosa. Ma la sua Inter fatica a compiere passi convincenti in avanti. Somiglia sempre più ad un gambero che dopo un passo in avanti, ne compie due indietro. Chi ha tempo non lo perda, ma la sensazione è che l’Inter sia prigioniera della rigidità tattica dello stesso allenatore. Il caso Eriksen è illuminante in tal senso. Non si può gettare nella mischia un calciatore del talento del danese per soli quattro minuti. Ancor più a risultato ormai compromesso. Una scelta che sa più di ripicca che di mossa tattica. Anche perché, tatticamente, non c'era più nulla da recuperare. Sarebbe meglio evitare ad Eriksen certe umiliazioni. Così si finirà per imboccare una strada a senso unico che condurrà inesorabilmente a dilapidare un notevole patrimonio tecnico. A rimetterci sarebbe soltanto l’Inter. Occorre dare una sterzata ed invertire la rotta. Prima che sia troppo tardi.