Inter, la storia di Istvan Toth: lo Schindler del pallone

Il giorno della memoria tocca la coscienza di tutti, anche nel mondo dello sport. Tra i tifosi nerazzurri è ben conosciuta la storia di Arpad Weisz, l’allenatore ungherese di origine ebrea che sulla panchina dell’Inter vinse il campionato nel 1930, il primo ad essere giocato con un girone unico. La sua vicenda l’abbiamo già raccontata anche noi di Radio Nerazzurra e Arpad resta ancor oggi il più giovane allenatore straniero ad aver conquistato il massimo titolo nel calcio italiano. Dopo essere tornato altre due volte sulla panchina nerazzurra e dopo aver vinto altri due scudetti a Bologna nel 1936 e 1937, le leggi razziali del governo fascista lo costrinsero a scappare dall’Italia. Nel 1938 si rifugiò prima a Parigi, poi in Olanda dove allenò fino al 1942, quando cadde nelle retate della Gestapo. Fu deportato ad Auschwitz dove trovò la morte a soli 47 anni il 31 gennaio del 1944. Ma quella Weisz non è l’unica storia che lega l’Inter a quella tragedia che colpì il mondo intero: la Shoah. C’è un altro personaggio, sicuramente meno noto ma altrettanto importante per le vicende nerazzurre, che val la pena raccontare in occasione della Giornata della Memoria. Stiamo parlando di Istvan Toth, che sedette sulla panchina nerazzurra per un solo campionato, quello del 1931-32, prima di cedere il posto proprio ad Arpad Weisz che tornava all’Inter per la seconda volta. 

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Toth, ungherese, aveva giocato nel leggendario Ferencvaros per 14 anni prima di diventarne l’allenatore. Vinse due scudetti nel 1927 e 1928 e la Coppa Mitropa, paragonabile alla Champions di oggi. Nel 1930 si sposta, come tanti altri suoi connazionali in quegli anni, in Italia, alla Triestina, l’anno dopo era a Milano, sull’onda della fama che lo descriveva come uno dei tecnici più preparati d’Europa. I suoi metodi di allenamento e gli schemi tattici che usava erano rivoluzionari per l’epoca. Un Mourinho ante litteram che puntava tutto sulla motivazione del gruppo e sulla preparazione individuale, Fu il primo ad utilizzare schede personali di allenamento per ciascun giocatore per ottimizzare le performances di ciascuno di loro. Chiuse il campionato al sesto posto, l’Ambrosiana aveva altre ambizioni e dunque dovette lasciare la panca al suo connazionale Weisz. Una meteora nella storia sportiva dell’Inter ma che merita di essere ricordata per ben altri motivi.

….[..]…Toth e Kertsz, due protagonisti del nostro calcio degli anni ’30, hanno scelto di sacrificare la loro vita pur di salvare quella di tantissimi innocenti, altrimenti destinati a finire per sempre nella lunghissima lista delle vittime del nazifascismo. In un anno avevano salvato la vita a centinaia di ebrei ma il regime ungherese ha sempre lasciato nell’oblio la loro storia. Solo dopo diversi decenni le loro gesta sono riemerse, grazie anche alle ricerche di un gruppo di studiosi catanesi. Qualcuno li ha chiamati gli Schindler del pallone, un soprannome che, rileggendo la loro storia ai giorni nostri, non può che essere più calzante. Perché è sempre importante ricordare. Solo così possiamo evitare di commettere gli stessi errori del passato.