Puntuale come un Rolex arriva l’eliminazione primaverile della Juventus dalla Champions League, da molti sui social ormai paragonata alla Pasqua che non si sa in quale giorno arriva ma di sicuro arriva. Le ironie si sprecano, analisi e commenti pure, tutti concordi nel sostenere che la parola temuta non si può più nascondere: fallimento. Sportivo ovviamente, condito da enormi difficoltà finanziarie, aspetti entrambi riconducibili anche e soprattutto all’impatto di Cristiano Ronaldo, capace di voltarsi sulla punizione di Sergio Oliveira ma sempre ben attento quando arriva il 27 del mese.
C’è un signore che non ha bisogno di andare su Twitter per sorridere, uno ci aveva visto lontano tre anni orsono quando la fregola del 5 volte pallone d’oro aveva fatto fibrillare tutta Torino e la pletora dei mezzi di informazione. Tutti men che lui, Antonio Marotta da Varese, che aveva intravisto subito il baratro che si stava aprendo davanti alla società. Provò a farlo presente ma Agnelli, Paratici e Nedved erano ormai partiti per la tangenziale portoghese, mentre giornalisti intristiti fin dai tempi dell’addio di Mourinho dalle banalità di scudetti a ripetizione ritrovarono lo smalto dei tempi migliori ed esplosero i peana, tric e trac e mortaretti vari.
Marotta era rimasto solo e come succede in questi casi la solitudine uccide. La strada fu quella della risoluzione consensuale del contratto, l’Ad fu salutato con un comunicato ufficiale che parlava solo delle somme che gli venivano riconosciute. I ringraziamenti arrivarono a voce, nascosti dentro la spiegazione assai poco convincente della necessità di rinnovamento manageriale.
Il suo periodo di aspettativa non fu lungo, l’Inter era appena uscita dal Settlement agreement che ne aveva limitato ogni agibilità di spesa per 4 anni, Suning garantiva che avrebbe impiegato quanto necessario per tornare a riveder le stelle, i soldi c’erano, il matrimonio fu immediato, Marotta perse il posto in prima fila ma aveva capito che il sole avrebbe girato alla svelta.
Oggi la foto di Nedved che prende a calci i cartelloni pubblicitari dopo l’inutile vittoria con il Porto diventa un flash emblematico di un’epoca bianconera, quella segnata si dal Covid ma soprattutto dalla scelta di una dirigenza adesso giustamente sul banco degli imputati. Da martedì scorso tutti i fucili sono spianati, quelli degli osservatori europei, mai così duri nei confronti di Andrea Agnelli reo di bramare il cambio di format della Champions tanto desiderata e mai arrivata ma anche quelli dell’informazione nazionale, che non si arrapa più con gli orologi e le bottiglie di vino di CR7 tanto meno con le magliette che avrebbero ripagato i circa 90 milioni l’anno iscritti a bilancio alla voce Ronaldo tra stipendio e ammortamenti. Non i fucili ma l’artiglieria pesante ha sfoderato invece il mondo dei tifosi bianconeri, anche loro dopo anni di illusioni si sono accorti che il re è nudo come nella favola di Andrersen , qualcuno tra quelli più importanti (Cobolli Gigli) ha accusato Nedved di non avere le capacità necessarie per fare il vice presidente e ha auspicato l’allontanamento di Paratici.
Beppe Marotta da Viale della Liberazione guarda e sorride, pregustando l’ultimo tassello della sua rivincita. L’eventuale scudetto dell’Inter lascerebbe alla Juventus la Supercoppa e forse la Coppa Italia (che sarebbe come servire un minestrone a chi è abituato a pasteggiare ad aragosta e Dom Perignon), in attesa che le banche ed il buon senso impongano la cessione di Ronaldo e di qualche altro pezzo da 90.
“La miglior vendetta è un successo imponente”, diceva il vecchio Frank Sinatra, noi aspettiamo di sentirla cantare anche da Marotta.