Un venerdì sera importante per quanto ha riguardato i canali de La Voce Nerazzurra. Infatti è intervenuto l'ex calciatore del Bologna, nonché del Milan, ed attuale tecnico e dirigente Daniele Daino. Quest'ultimo, intervistato dai nostri giornalisti Davide Currenti e Luca Leoni, ha toccato diversi punti: dalla sua carriera fino all'attuale impegno con i giovani con un occhio critico sulle tematiche riguardanti il calcio moderno (clicca qui per leggere la parte 2).
In questa seconda parte l'ex difensore/terzino si è soffermato molto a ricordare gli inizi della sua carriera: “Ho avuto la sfortuna a 20 anni di farmi male al tendine rotuleo proprio come Ronaldo, con il quale ho lavorato in Francia per il recupero. Siamo stati operati dallo stesso medico. Nello specifico l'infortunio è arrivato agli inizi del 2000, mentre ero al Perugia di Mazzone in prestito dal Milan, e mi ha tenuto fuori all’incirca un anno e mezzo. Questo ha un po' cambiato poi il mio futuro“. Una carriera che sembrava pronta al decollo prima di quel giorno: “A livello di Nazionale ero già in Under 21 con Tardelli – a 18 anni – insieme ad Abbiati, Pirlo, Gattuso, Ventola e sono diventato Campione d’Europa con quella Nazionale. Gli unici due del ’79 – in mezzo ai ’77 come Coco, Ambrosini, Grandoni della Lazio, Zanchi della Juve – eravamo io e Andrea Pirlo, dove io giocavo titolare nel Milan. Diciamo che se non avessi avuto quell’infortunio avrei potuto disputare un carriera ad altri livelli“. E precisa: “Basti pensare che a Napoli – dopo il Milan del ’98 – ho vinto il premio come miglior giocatore del torneo con 35 partite su 36 disputate ed una serie di prestazioni di livello. Io andai via da Milan quando arrivò Zaccheroni che si portò Helveg. L’anno dopo andai a Perugia e poi ci fu l’infortunio. Per il recupero ringrazio la mia famiglia che mi è stata molto vicina in quel periodo e mi ha dato la forza necessaria per tornare“.
Un'esperienza molto breve a Perugia della quale però ha ottimi ricordi: “Il Perugia di quegli anni era una grandissima squadra con Rapaic, Nakata, Mauro Milanese, Amoruso, Materazzi, Ibrahim Ba, Giovanni Tedesco, Olive. Poi c'era Mazzone in panchina. Era un allenatore che faceva cose semplici, ma ti lavorava sulla testa. Mi ricordo che arrivai a Perugia e feci una giocata che lui non voleva che io facessi e gli risposi pure. Lui subito dopo mi riprese e mi disse in romano: “A Daino, hai voluto la bicicletta? Mo’ pedala”. Questa è una grandissima battuta, per nulla sbagliata“. Una frase di cui farne tesoro: “Nel calcio non devi sentirti mai arrivato. Questo è uno dei problemi: si lavora poco, troppo poco. Non si possono fare sedute di 50 minuti. Gli allenamenti devono durare molto di più, come una partita di calcio se non di più. Questo è il segreto dell’Atalanta. Le sue sedute durano mediamente dalle due ore alle due ore e un quarto ed è questo che le permette di avere quell’intensità europea“.
Nella sua carriera Daino ha però, oltre l'infortunio, un altro rimpianto. Riguarda l'Inter: “Risale al ’98 quando ero al Milan ed ero riuscito a ritagliarmi uno spazio importante con Capello, nonostante avessi 18 anni. Mi ricordo che andammo a giocare a Brescia e nonostante io fossi un giocatore molto corretto – avrò preso sì e no 3 cartellini gialli ed un’espulsione in tutta la carriera – andai a prendere una doppia ammonizione con Farina di Novi Ligure che mi fece saltare il derby. Il famoso derby con Ronaldo che poi l’Inter vinse per 3 a 0. Meno male che l’ho saltato“. Aggiunge in seguito: “Per me il derby non ha eguali né in Italia né in Europa. Io sono l’emblema del sogno di arrivare. Ho sempre fatto il raccattapalle, poi ho voluto il sogno e l’ho raggiunto. Ci vuole sacrificio, lavoro, dedizione cose che ora a livello giovanile stanno un po’ mancando. Servirebbe un po’ più bastone – sportivamente parlando – e meno carota. Non bisogna dare nulla per scontato“.
Un messaggio forte e chiaro che rientra anche in uno dei progetti che sta portando avanti in Lega Pro: “Sto lavorando ad un progetto con il presidente Ghirelli della Lega Pro – che è il contenitore dei giovani per eccellenza – per un programma con delle regole per aiutare i giovani ad inserirsi in maniera corretta all’interno del mondo del calcio. Cerco di unire sia le mie esperienze sul terreno di gioco, che quelle da formatore“.
Tornando poi ai ricordi, non si poteva non menzionare la parentesi all'Ancona: “Ho bellissimi ricordi. Il primo è il gol della promozione dalla B alla Serie A con in panchina Gigi Simoni, un vero padre gentiluomo per tutti i calciatori. Ti dava modo di esprimerti con tranquillità e fiducia. Quando scendevamo in campo volevamo vincere per dargli una soddisfazione. Era un grande uomo che si basava molto sulla comunicazione, non a caso Ronaldo quando arrivò all’Inter fece quello che ha fatto. Comunque poi il sogno è stato distrutto da Pieroni che da dirigente è passato a presidente ed ha combinato diversi casini in Serie A con acquisti, cessioni…“. Su Simoni poi aggiunge: “Simoni è ad oggi l’allenatore che ha vinto più campionati cadetti in Italia. A quel tempo era molto difficile perché c’era qualità. Molti potevano tranquillamente giocare in Serie A ad altissimi livelli”.
A proposito di altissimi livelli, Daino ha poi elencato alcuni degli avversari più forti da lui affrontati: “Da terzino ho affrontato molti attaccanti esterni fenomenali, poi se devo farti un nome solo per velocità quando si spostava sulla fascia era Enrico Chiesa. Poi altro complicato era Nedved che sapeva utilizzare entrambi i piedi. Poi mi ricordo Asprilla, Stanic…”. Piccola parentesi sul Fenomeno: “Dopo Maradona, per me, c’è il Ronaldo visto all’Inter, aveva molto di più di Messi e di Cristiano Ronaldo“.
Se ci si sposta in Italia, non ci sono dubbi il migliore che ha lasciato, nell'ex rossonero, un ricordo indelebile è lui: Roberto Baggio. Queste le parole: “Se mi chiedete invece il giocatore che più ricordo come incredibile vi dico: Roberto Baggio. Per me l’emblema del calcio italiano. Lui è il calcio. Rappresenta l’uomo, il calciatore, la magia, il far sognare. Semplicemente unico, nel calcio moderno giocherebbe da dieci alle spalle/al fianco della prima punta“.